Originariamente inviato da
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Concordo in toto con Monica e Maddy. L'ho recuperato e letto perché Martina mi ha dato un buon motivo per farlo: la possibilità di vedere il lbro ritirato dal mercato, oppure rettificato, o almeno di opporre la visione di chi la sdd la vive.
Forse si potrebbe salvare la storia, però è davvero inaccettabile e insultante la percezione di Francesca che viene attribuita a un io narrante immaturo, non solo anagraficamente ed evidentemente ineducato al rispetto della diversità, lacuna che pare colmarsi con l'affezione, ma resta un vuoto in mezzo, un vuoto educativo palese. Il messaggio che passa è che si può essere amici lo stesso, che Francesca ha la capacità di voler bene incondizionatamente nonostante le sue carenze, le sue bizzarrie e il suo aspetto non attraente. Per me questa non è un'amicizia, ma un rapporto di forza in cui il bambino normo passa per benefattore e Francesca rappresenta la categoria vulnerabile beneficiaria. Non mi piace.
Nemmeno posso tollerare lo stereotipo estetico sgradevole della bambina con sdd, perché ho conosciuto bimbette e ragazzini atletici, eleganti, bellissimi, con sorrisi curati, tagli di capelli fighissimi e a volte manco gli occhi a mandorla, capaci di giocare, correre, saltare, andare in bici, nuotare, ballare, sciare bene quanto altri bimbi senza sindrome.
Vorrei dire a Monica che secondo me questa lettura non andrebbe proposta oltre i sei anni. L'età prescolare, per come la vedo io, rappresenta un periodo della vita in cui ai bambini si può e si deve insegnare a non prendere in giro gli altri per le loro difficoltà e poi consolidare il concetto in seguito, quando le dinamiche di gruppo dell'età scolare mettono alla prova l'individuo nel suo insieme di valori, personalità, ambizioni, convinzioni. Ho letto questo libro al mio neo5enne e lui si è indignato: "Perché mamma questo bambino dice così? Non lo sa che non si scherzano le persone che hanno le malattie e quelle che hanno un problema? Non glielo hanno detto la sua maestra o la sua mamma?". Forse anche lui è un sibling sensibilizzato, assolutamente non è più avanti della media dei coetanei e come loro, se registra un' incongruenza, prima di formulare un giudizio, domanda all'adulto di riferimento il perché di ciò che vede. Sta agli educatori mediare al fine di favorire lo sviluppo del rispetto delle differenze, cosa che va anche in favore dell'autostima: se chi è diverso vale, ciascuno vale: io valgo!
Infine, vorrei dire a Martina: io NON credo (più, da tempo) alle buone intenzioni. O meglio, mi fa paura chi, armato di sole buone intenzioni, si getta in un'impresa che coinvolge dei destinatari. La buona volontà, senza competenze specifiche, motivazioni forti ed autentiche e una professionalità (intesa come ruoli e responsabilità anche non retribuiti, ma con obiettivi da raggiungere), senza una guida e un controllo, senza una progettualità, ha una grande percentuale di fallimento e può perfino causare grossi danni ai beneficiari. Ad esempio ho visto abbastanza volontari ad "aiutare" i bambini, riempirli di caramelle e di aspettative, farsi le foto con grappoli di orfani appesi al collo da mostrare fra le immagini del safari e di e poi sparire in gloria.
Ti dirò, pure qui nel forum mal sopporto quelli che si iscrivono, postano 1 messaggio pieno di affettazione, presentandosi come "io voglio aiutare" (in mille forme diverse) e poi seguono: il silenzio - una marea di c....te - una pubblicità più o meno occulta - varie ed eventuali. Si può fare del bene, ma bisogna saperlo fare bene, altrimenti meglio mollare il colpo.
Tornando al libro, anche secondo me è un epic fail, se l'intento era promuovere l'inclusione, il risultato è l'amarezza di una disparità incolmabile, di un'ingiustizia grande, figlia dell'ignoranza che, in modo diverso, danneggia e danneggerà entrambi i bambini.
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