Lo ammetto: non amo i convegni, soprattutto quando ci sono personalità politiche, e non li amo perché quelli a cui ho partecipato, troppo spesso, sono autocelebrativi e autoincensatori per chi li organizza e per i relatori. Lo dico perché, invece, stavolta sono tornata contenta di aver partecipato, non solo per la sede istituzionale e non solo perché tra i relatori c’era la mia amica Ilaria (che devo ringraziare per l’invito, rivederla e riabbracciarla è il motivo principale che ci ha spinto a fare più di qualche kilometro), ma perché, oltre al lato emotivo, su cui non avevo dubbi sapendo che parlavano i ragazzi, ho avuto spunti importanti per coltivare quella speranza che lavorare (inteso come lavoro retribuito anche per loro) per e soprattutto CON i nostri figli si può e si deve, quella speranza che è motore per crearne i presupposti e che serve per creare una rete di persone che lo possa far diventare realtà.
Ne voglio scrivere perché si deve partire facendo cultura dell’inclusione, soprattutto laddove questa cultura non c’è. La riflessione che ha fatto la giornalista Severini in chiusura dell’evento, è stato quello a cui ho pensato buona parte della mattinata e che mi ha lasciato l’amaro in bocca: il sud non c’era, e aggiungo il sud non c’è mai per far uscire la disabilità dall’assistenzialismo, ma soprattutto a non esserci erano i politici del sud che dimostrano una disattenzione preoccupante, tanto che è stato detto che il fatto che al sud ci siano solo iniziative a macchia di leopardo, promosse per lo più da singoli “è un problema politico” e mi domando se dipenda solo dai nostri eletti o invece dipenda da noi che chiediamo loro le cose sbagliate, confondendo, a volte, i diritti dei nostri figli con le elargizioni di favori. Spesso quando si parla di nord (ma in questo caso anche di centro) sento dire “Eh sì ma al nord stanno avanti!”, ma se invece fossimo noi ad essere rimasti troppo indietro aspettando che le cose arrivino dal cielo? Ieri ho visto tanti operatori, tante persone che lavorano (perché è un lavoro anche riuscire a far lavorare gli altri) con i ragazzi disabili al fine di farli sentire parte di un tutto, al fine di fargli trovare una loro dimensione lavorativa o sportiva che sia, rispettando la loro diversità, partendo da quello che ognuno di loro sa e può fare (fosse anche una piccola cosa), questo hanno detto con forza, e i ragazzi con il loro piglio, le loro emozioni, il loro esserci lo hanno dimostrato.
Non riesco a raccontarvi 3 ore di convegno a memoria ma vi posso dire quello che ho portato a casa in termini di informazioni e sensazioni.
La rete virtuosa data dallo scambio di informazioni è una ricchezza inestimabile che va coltivata e va dato merito a Laura Bignami, insieme alle altre due senatrici Ferrara e Idem, di aver organizzato un tale evento in una sede istituzionale anche, ma non solo con tale fine, perché è alla base della diffusione delle buone prassi e della costruzione del pensiero (rubo lo slogan ad Ilaria) che “nothing is impossible”.
Ilaria splendida, carica e disinvolta, come sempre, ma avete visto il video, ma anche gli altri, tutti hanno trasmesso l’impegno e la soddisfazione del loro esserci, nel mondo del lavoro, così come nel mondo dello sport. Ho avuto anche il piacere di vedere un’emozionatissima Nicole Orlando ormai conosciuta da tutti non solo per i suoi successi sportivi, ma per essere stata menzionata dal presidente Mattarella.
Ho conosciuto una parte di mondo del lavoro dei ragazzi con disabilità che non conoscevo, quello fatto da chi si impegna, da chi pensa che esista un ruolo per ognuno di loro partendo dalle abilità di ognuno, perché ogni individuo in quanto persona ha di sicuro almeno un’abilità e, qualunque essa sia, questa va valorizzata anche in un ambito produttivo, facendo qualcosa non di fine a se stesso “perché se il prodotto finale non è buono è inutile che stiamo qui a parlare”, perché il prodotto del lavoro di questi ragazzi, che sia un servizio o un bene, deve essere venduto e valorizzato esattamente come quello di chiunque altro e va pagato anche adeguatamente. Certo in una realtà in cui il lavoro in genere è sottopagato figuriamoci se si pensa di pagare il lavoro di uno che produce pure di meno…
Mi ha colpito il progetto dell' accademia dell’indipendenza dell’albergo etico, che non conoscevo, questo percorso formativo in cui i ragazzi con più esperienza fanno da tutor agli altri, la possibilità di formarli anche lontano da casa, è qualcosa di prezioso e assolutamente da fare anche in altre zone d’Italia. Non ho ben capito come funziona nel dettaglio ma penso proprio che approfondirò. Quella della relazione fra pari, che poi diventano tutor dei ragazzi più giovani è una costante che si trova in più di una delle realtà presentate perché è stimolante, aiuta a crescere il tutor responsabilizzandolo, che a sua volta però è in grado di comprendere meglio le difficoltà del ragazzo che si avvicina al mondo del lavoro avendole vissute in prima persona.
Non sapevo che a luglio era stata approvata la legge sull’agricoltura sociale, sentire il prof. Alfonso Pascale parlare delle potenzialità dei nostri ragazzi nel settore agricolo e del perché è così importante è stato illuminante. Per chi si volesse informare la legge é la 141/2015, anche se bisognerà aspettare le regioni e gli enti locali che dovranno darle seguito.
Per poi arrivare allo sport come mezzo di crescita, in cui i maestri che sono intervenuti hanno fatto capire quanta preparazione ci sia dietro ad un lavoro fatto bene, che spinga il ragazzo oltre i propri limiti, ottenendo un miglioramento generale. Realtà che addirittura si avvalgono di psicologi e personale formato specificatamente per mediare con i ragazzi che possono avere difficoltà a relazionarsi, mediazione che poi si concretizza con il superamento di tali difficoltà. Ascoltavo rapita e pensavo a quanta differenza di impostazione e di risultato ci sia quando un progetto si impronta effettivamente sul benessere dei ragazzi mettendo loro al centro di tutto rispetto a quando lo si fa solo per far girare l’economia. Ecco quegli esempi che, sicuramente sono eccellenze in campo nazionale, non sono impossibili da raggiungere perché non penso sia un problema di fondi, ma è un problema di come i fondi vengono spesi e con che obiettivo: tutto dipende dalla fiducia che si dà ai ragazzi, tutto dipende dall’attenzione che si dà loro in quanto persone, tutto dipende se la struttura, creata sulla carta per loro vuole adattarsi alle loro capacità, instaurando un canale di comunicazione virtuoso, o se invece si pretende che siano loro ad adattarsi alla struttura (scuola, formazione al lavoro, attività sportiva che sia), forse è solo questa la differenza…
Ecco alcuni video.
Ilaria
Servizio Retesole con intervista a Nicole Orlando
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