Da questo libro di Nadia Fusini, grande scrittrice contemporanea, vi copio incollo la descrizione sicuramente un po' inquietante ma realistica per quel tempo, che Nadia bambina fa (e scrive con crudele precisione poi da adulta) di una donna trentenne con sdd (e di sua mamma) conosciuta durante l'infanzia, quindi... per inquadrare il periodo, circa 60 anni fa.
"Poi c'era Nunziatina, che era l'unica femmina, ed era infelice. Non che fosse proprio malata, ma era riuscita male nascendo, e se era cresciuta nel corpo, era rimasta però bambina nel cervello, e anche adesso che aveva trent'anni seguiva la madre come fosse un pulcino; pigolava dietro la mamma che era protettiva con lei come una chioccia.
Nunziatina aveva una faccia grande, rotonda, da primitiva; gli occhi a mandorla spesso socchiusi le davano un aspetto orientale, un'aria da straniera, da Mongola. Ma Nunziatina era buona, non avrebbe fatto male a una mosca, diceva Zaira – che l'amava, era evidente, più degli altri suoi figli, che non erano malati, ma sani, eppure tante volte urlavano, erano violenti, cattivi; mai con la madre, che veneravano, ma con le mogli e la prole sì. Nunziatina invece passava le giornate borbottando tra sé cantilene che le aveva insegnato Zaira. Oppure parlava con gli animali che andava a nutrire, le galline, i conigli, le mucche, i vitelli. Perfino i piccioni, i colombi e i passerotti le accorrevano intorno, tanto che pensavo che lei conoscesse davvero la loro lingua. Certo è che Nunziatina emetteva dei suoni che gli uccelli capivano, e difatti accorrevano a frotte. Sapeva anche belare e i piccoli delle pecore le andavano incontro, si accucciavano nelle sue braccia; sapeva parlare ai maiali, che le facevano festose accoglienze di grugniti modulati come una musica.
Io la seguivo rapita. Sarà un'infelice pensavo, ma che importa? Anzi, di quegli esseri che come lei non sarebbero sviluppati nell'età adulta, ma sarebbero al contrario rimasti sempre uguali, inerti, parlando a stento, non imparando mai le parole dei grandi, ne conoscevo degli altri. E mi piacevano. E vero, erano in genere piccoli, grassi e rotondi; e stavano tutti attaccati alle gonne della madre come se non fossero mai veramente nati; ma non per questo erano tristi, né infelici nell'altro significato della parola. Voglio dire, non piangevano, non si lamentavano. Nunziatina, ad esempio, era allegra, rideva spesso; e a me piaceva giocare con lei. Però a volte mi turbavano dei gesti osceni che Nunziatina faceva, non si sa perché, né da chi li avesse imparati, nessuno di certo glieli aveva insegnati; ma d'un tratto si tirava su la gonna, e mostrava le gambe pelose e le grandi mutande bianche larghe che coprivano, per modo di dire, una foresta di pelo che s'addensava più scura tra le cosce.
Oppure allargava la bocca in smorfie oscene che le devastavano la faccia, che d'improvviso somigliava a quella d'un ubriaco. Altre volte rideva, rideva, si sganasciava dalle risate, finché il ridere trapassava in scoppi furiosi di insulti non si sapeva contro chi, perché era impossibile in quelle grida incoerenti riconoscere delle parole, se non una che ripeteva instancabile, santo, santo, santo; anche se dal modo che lo diceva pareva nominasse il diavolo.
Bastava però che comparisse Zaira e quella strana ferocia spariva e Nunziatina tornava a essere mite, tranquilla. Che cosa sarebbe accaduto di lei, tutti si preoccupavano, una volta che la Zaira fosse morta? E tutti speravano, senza neppure nasconderlo, che morisse prima la figlia, anche se era più giovane.
Ma Zaira non voleva sentire quei discorsi. Odiava che si nominasse la morte. All'improvviso induriva e spaventosa, tremenda, fissava i figli e le nuore negli occhi, e li minacciava: voi dovrete occuparvene. Guai se la manderete all'ospizio. Tornerò dall'oltretomba a punirvi. I figli tacevano, come se gli occhi materni li pietrificassero. Le nuore non fiatavano, sottomesse per via indiretta, ma non meno assoluta. "
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