Il prof. Cuomo ci ha girato parte della sua corrispondenza privata per metterla a disposizione di tutti gli utenti del forum e noi con piacere la riportiamo, in quanto potrebbe risultare utile:
Originariamente inviato da educatriceGentilissimo prof. Cuomo,
avrei bisogno di conoscere il suo punto di vista su una questione che riguarda il mio lavoro. Lavoro come educatrice nelle scuole da diversi anni, assunta da una delle tante coop sociali. Da 5 anni seguo una bambina, Viviana di 11 anni, con la sindrome di Down. Ho iniziato il mio percorso educativo quando era all'ultimo anno di scuola materna e adesso Viviana frequenta la quarta elementare. E' inserito in una classe problematica dal punto di vista comportamentale con 2 dislessici, 2 bimbi con certificazione di iperattività e uno in dubbio. Ciononostante Viviana è ben accettata dai suoi compagni che sono molto premurosi nei suoi confronti e le vogliono molto bene. In questi anni io e le insegnanti abbiamo affrontato alcune difficoltà legate alla gestione della classe molto agitata e insieme affrontare la timidezza di Viviana e i suoi continui atteggiamenti provocatori ( fughe dalla classe, aggressività verso i compagni e opposizioni...). Lei ha sempre mal tollerato una mia breve sostituzione reagendo con pipì addosso o scappando per la scuola a nascondersi in posti improbabili. Due o tre volte ha tentato di uscire dalla scuola senza farsi vedere mettendo in allarme il personale scolastico. Adesso le cose sono migliorate; accetta i cambiamenti e si sente più sicura e le novità sembrano non darle tanti disturbi. In terza ha iniziato a leggere e quest'anno dal punto di vista scolastico ha fatto dei passi da gigante. Legge fluidamente, scrive brevi racconti senza grossi errori ortografici ma soprattutto ama la scuola e le piace imparare cose nuove. Il mio obiettivo è riuscire a trovare sempre più collegamenti tra il suo programma individualizzato con il programma della classe, per poi prepararla alla scuola media.
La doccia fredda (che è l'oggetto della mia lettera) è arrivata durante l'ultimo incontro con la responsabile del servizio della mia coop. Lei ha affermato che a settembre molti di noi perderanno i loro casi ( tra cui me), perché dopo più di tre anni, secondo lei, si instaura un rappoorto dipendente che può essere dannoso per entrambi: educatore e disabie. E' da tenere conto che questa coop ha vinto l'appalto a settembre 2008 e non conosce ancora i casi da noi seguiti. La mia perplessità sta nel fatto di capire se, separandomi da Viviana nel suo ultimo anno di scuola elementare, non possa crearle dei problemi o delle ricadute nei comportamenti. Se è possibile che le venga tolto un riferimento proprio quando stava spiccando il volo verso l'autonomia e la sicurezza nelle proprie capacità.
Lei,prof. Cuomo, cosa ne pensa? Mi piacerebbe sapere se è utile separarmene come ci ha consigliato la nostra responsabile e se possorichiederle di avvisare fin da adesso la famiglia e la scuola, senza aspettare giugno? E a Viviana come spiegarglielo?
Scusi se mi sono dilungata e spero di ricevere una sua preziosa risposta.
Grazie per l'ascoltoOriginariamente inviato da prof. CuomoGentilissima,
da quanto lei mi scrive penso che la posizione presa dalla responsabile del servizio della sua cooperativa sia pregiudiziale, arbitrario e assolutamente privo di fondamenti.
Il fatto che "...dopo più di tre anni... si instaura un rapporto dipendente che può essere dannoso per entrambi: educatore e disabile" ha un "può" di mezzo (dichiarato, da quanto lei mi riporta nella e-mail, dalla stessa responsabile) che va valutato. I "può" non fanno riferimento alla ricerca la quale presenta dati statistici ed anche in tale forma certe variabili vanno analizzate tenendo conto di molteplicità di fattori. Le ricerche sulle scienze umane propongono assolutamente meno certezze che in altri ambiti e molti riferimenti vengono definiti quali "controversi". Penso che quanto affermato dalla sua coordinatrice non possa rientrare neanche nei dati "controversi" ma in quelli di pregiudiziali e psicologistici modi di pensare. Con il "può" è possibile pensare a tutto ed al contrario di tutto. E' possibile pensare che uscendo di casa una persona "può" avere un incidente e morire (allora non dovremmo più uscire di casa), come "può" essere che stando in casa potremmo avere un mortale incidente domestico (la percentuale è alta) e quindi non dovremmo neanche stare in casa.
Difatti non è un giudizio assoluto che "...un rapporto dipendente" debba essere dannoso, anzi può risultare estremamente utile per l'empatia che produce ed essendo i bambini con trisomia 21 estremamente disponibili all'apprendere in funzione di stati emozionali empatici (cfr.: le attualissime ricerche sui "neuroni specchio" in Italia in particolare gli studi di Rizzolatti) uno stato empatico di dipendenza risulta favorente sia per l'imparare che per l'insegnare.
La dipendenza, quando propone una forte condizione di emulazione e il percorso educativo porta verso una autonomia intellettuale critica, intenzionale, consapevole, risulta una condizione da utilizzare e da produrre attraverso un'attenta e rigorosa progettualità. Tutti i bambini sono dipendenti dagli adulti ed hanno la necessità di avere figure di riferimento costanti e competenti a cui riporre la propria fiducia, modelli da emulare. In particolare un bambino con trisomia 21 necessita di riferimenti per le mediazioni nel conoscere (sia di persone che di strategie che di strumenti), in particolare da zero a dieci anni, in corrispondenza con l'alta plasticità cognitiva, .
Inoltre il Ministero, al di là delle prese di posizioni personali arbitrarie, raccomanda che vi sia una continuità educativo-didattica e del personale a questa preposta.
Penso che sarà forse difficile far cambiare le idee al suo referente se non vi sono ambiti scientifici a cui riferirsi nel confronto.
In tutti i modi penso sia assolutamente etico e obbligatorio da parte sua avvertire la famiglia in quanto le prese di posizione del suo coordinatore sono produttrici di rischi per il bambino in un momento della sua vita molto ma molto delicato.
La famiglia inoltre può e deve avvalersi di consulenze di esperti per contrastare l'arbitrario decidere. I danni a cui il bambino è a rischio ricadono sulla famiglia, sul bambino stesso e non sul suo coordinatore.
Se devo proprio trovare dei problemi, sempre riferendomi a quanto lei mi scrive, personalmente li incontro nella composizione della classe (non si concentrano in una classe tanti bambini con disturbi ciò fa rilevare un non adeguato modo di organizzare la Scuola da parte dei dirigenti).
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