elsy63
06-03-2007, 09:01
Newshome | news | Un farmaco per la sindrome di Down? StampaInvia 26 Febbraio 07Medicina e biotech | NEUROLOGIAUn farmaco per la sindrome di Down?
Ha quasi un secolo, e una doppia vita. Ritirato dal mercato americano nel 1982 perché accusato di essere inefficace, o peggio, di provocare convulsioni nei pazienti psichiatrici, il pentilenetetrazolo (Pzt) sembra ora in grado di agire positivamente sul ritardo mentale associato alla sindrome di Down.
Craig Garner, professore di psichiatria e direttore del centro di ricerca sulla sindrome di Down dell'Università di Stanford, insieme ai suoi colleghi del Lucile Packard Children’s Hospital, ha somministrato il Pzt ad alcuni topi ingegnerizzati con tre cromosomi 16 (nella specie umana la sindrome è data invece dalla presenza di tre cromosomi 21), osservandone poi il comportamento e le abilità cognitive con una serie di test.
Dallo studio, che è stato pubblicato sull'edizione online di Nature Neuroscience, emerge che i topi Down trattati con il Pzt mostrano un netto miglioramento delle capacità di memoria e apprendimento: per esempio, sanno orientarsi all'interno di un labirinto come i topolini sani, e riconoscere oggetti già visti in precedenza. Non solo: questo miglioramento sembra durare nel tempo, perché le funzioni restano inalterate anche mesi dopo l'interruzione del trattamento.
Secondo i ricercatori, il Pzt interferisce con i canali del calcio dei neuroni, bloccando l'azione di un neurotrasmettitore inibitorio, il Gaba. Quando questi canali sono attivi, impediscono al neurone di creare sinapsi con i neuroni circostanti. Nei cervelli sani, dice Garner, le abilità cognitive sono rese possibili da un preciso equilibrio tra l'eccitazione e l'inibizione neuronale. In quelli dei soggetti Down, invece, lo squilibrio impedisce la creazione di connessioni neuronali. Il pentilenetetrazolo consentirebbe al neurone di recuperare le funzioni sinaptiche. I ricercatori stanno ora considerando la possibilità di indagare l’effetto del Ptz anche sul cervello umano colpito da trisomia 21. Ma per i primi trial ci vorrà ancora qualche anno. E l'approvazione della Food and Drug Administration statunitense per l’uso negli esseri umani. (e.m.)
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Ha quasi un secolo, e una doppia vita. Ritirato dal mercato americano nel 1982 perché accusato di essere inefficace, o peggio, di provocare convulsioni nei pazienti psichiatrici, il pentilenetetrazolo (Pzt) sembra ora in grado di agire positivamente sul ritardo mentale associato alla sindrome di Down.
Craig Garner, professore di psichiatria e direttore del centro di ricerca sulla sindrome di Down dell'Università di Stanford, insieme ai suoi colleghi del Lucile Packard Children’s Hospital, ha somministrato il Pzt ad alcuni topi ingegnerizzati con tre cromosomi 16 (nella specie umana la sindrome è data invece dalla presenza di tre cromosomi 21), osservandone poi il comportamento e le abilità cognitive con una serie di test.
Dallo studio, che è stato pubblicato sull'edizione online di Nature Neuroscience, emerge che i topi Down trattati con il Pzt mostrano un netto miglioramento delle capacità di memoria e apprendimento: per esempio, sanno orientarsi all'interno di un labirinto come i topolini sani, e riconoscere oggetti già visti in precedenza. Non solo: questo miglioramento sembra durare nel tempo, perché le funzioni restano inalterate anche mesi dopo l'interruzione del trattamento.
Secondo i ricercatori, il Pzt interferisce con i canali del calcio dei neuroni, bloccando l'azione di un neurotrasmettitore inibitorio, il Gaba. Quando questi canali sono attivi, impediscono al neurone di creare sinapsi con i neuroni circostanti. Nei cervelli sani, dice Garner, le abilità cognitive sono rese possibili da un preciso equilibrio tra l'eccitazione e l'inibizione neuronale. In quelli dei soggetti Down, invece, lo squilibrio impedisce la creazione di connessioni neuronali. Il pentilenetetrazolo consentirebbe al neurone di recuperare le funzioni sinaptiche. I ricercatori stanno ora considerando la possibilità di indagare l’effetto del Ptz anche sul cervello umano colpito da trisomia 21. Ma per i primi trial ci vorrà ancora qualche anno. E l'approvazione della Food and Drug Administration statunitense per l’uso negli esseri umani. (e.m.)
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