francesco
05-03-2007, 16:33
Da" Il Gazzettino" Lunedì, 5 Marzo 2007
Prende il motorino tutte le mattine e va al lavoro. Non sgarra un minuto, altrimenti è lui il primo ad arrabbiarsi. Matteo lavora per una impresa di pulizie: dopo il lavoro torna a casa, spesso di cucina anche la pastasciutta nell'attesa che arrivi la mamma. Nulla di strano, solo che la maggior parte della società lo ritiene "ritardato". Ma Matteo è solo speciale. È un Down.
Così Caterina che per anni ha gestito assieme alla mamma una profumeria a Vicenza. Era capace anche di rimanere da sola per qualche ora e guai a imbrogliarla: lei il valore dei soldi lo conosce bene.
Storie, come tante. Fino a qualche tempo fa i ragazzi Down nella migliore delle ipotesi finivano in manicomio. Oggi si pensa all'inserimento e alla emancipazione. Il primo a battersi per questo è il "medico del cromosoma 21", come qualcuno lo chiama. «Non potevo non continuare ad occuparmi di loro, era come se li avessi abbandonati. Ci sono molto affezionato perché in 35 anni mi hanno riempito di affetto, mi hanno fatto scoprire un'altra visione del mondo». Il professor Carlo Baccichetti così raccontava la sua esperienza: una vita di lavoro con i Down e una aspettativa di pensione sempre con loro. È nella Fondazione Baccichetti, dedicata alla Sindrome di Down, che è finita la sua liquidazione ed è con i "suoi ragazzi" che continua a trascorrere le giornate. «Il 50 per cento dei Down ha un quoziente intellettivo che è al limite inferiore della normalità. Abbiamo tante persone considerate normali più stupide, ma che non hanno la faccia da Down. E questa è una grande ingiustizia sociale», dice spesso e chiede parità. I ragazzi Down rappresentano una risorsa, possono lavorare, impegnarsi, sanno regalare slanci di affetto che pochi cosiddetti normali conoscono. "L'ottavo giorno Dio creò i Down", tenere creature, così piene di umanità e capaci dei comunicare affetto da sembrare quasi irreali", così recitava un delicatissimo film francese e così timidamente sostiene il professor Baccichetti, che i ragazzi affetti da sindrome di Down li ama a tal punto da volerli proteggere nel presente e nel futuro, quando le famiglie non ci saranno più e per questi adulti quasi nella norma, con la sensibilità di una corda di violino vedranno dinnanzi a se aprirsi solo la possibilità di una casa di riposo.
La Fondazione, nata da una partnership pubblico-privato che ieri ha ottenuto dopo anni anche una sede ufficiale a Padova, grazie al Comune, vuole infatti diventare un "ponte", una sorta di traghetti tra il presente dei giovani Down e il loro futuro. Il domani si costruisce attraverso l'integrazione, la formazione, attraverso aiuti concreti e mirati che volgano soprattutto a cercare di inserirli nella società. Oggi il 44,4 per cento dei portatori della sindrome vivono oltre i 60 anni, il 71 per cento oltre i 30. «Questa constatazione deve indurre a riflettere sulla strada da seguire per rendere meno oneroso l'invecchiamento di questi soggetti, prima di tutto per loro stessi, e poi per la famiglia o la società - spiega il professor Baccichetti - Ecco perché è indispensabile programmare la loro educazione, l'occupazione e l'integrazione. Ma è anche indispensabile prevenire alcune complicanze che sono tipiche della loro condizione, la sordità, i problemi visivi, l'ipotiroidismo, la bassa statura, i deficit visivi, l'espulsione precoce dei denti, la depressione e la demenza».Attraverso la Fondazione si dovrà favorire la socializzazione della famiglia, che tenderebbe ad isolarsi dall'ambiente circostante, promuovendo, nel primo anno di vita, incontri con le famiglie. Un aiuto concreto deve poi arrivare alla madre, mentre i bambini devono precocemente essere inseriti all'asilo nido per permettere loro una crescita stimolante.In collaborazione con il Comune di Este, i Servizi sociali e l'Università di Padova è nato il progetto "Vita in comune nella casa". Ai ragazzi Down viene permesso di passare insieme il fine settimana, permettendo loro di acquisire con l'aiuto degli operatori una serie di autonomie sociali, quali muoversi per le strade, orientarsi, utilizzare il denaro, organizzarsi il tempo libero. Ma anche imparare ad essere autonomi ed adulti, sviluppando tutte quelle capacità che permettono una vita autonoma.Aiutarli a crescere, è quanto sostiene il professor Baccichetti. La vera vulnerabilità del Down non sta nella sua disabilità a compiere certe funzioni, ma piuttosto nella sua incapacità totale nell'essere cattivo. «La sua prima reazione è abbracciarti e darti affetto, perché vede il mondo senza malizia, perché vive con entusiamo. Perché è speciale».
Prende il motorino tutte le mattine e va al lavoro. Non sgarra un minuto, altrimenti è lui il primo ad arrabbiarsi. Matteo lavora per una impresa di pulizie: dopo il lavoro torna a casa, spesso di cucina anche la pastasciutta nell'attesa che arrivi la mamma. Nulla di strano, solo che la maggior parte della società lo ritiene "ritardato". Ma Matteo è solo speciale. È un Down.
Così Caterina che per anni ha gestito assieme alla mamma una profumeria a Vicenza. Era capace anche di rimanere da sola per qualche ora e guai a imbrogliarla: lei il valore dei soldi lo conosce bene.
Storie, come tante. Fino a qualche tempo fa i ragazzi Down nella migliore delle ipotesi finivano in manicomio. Oggi si pensa all'inserimento e alla emancipazione. Il primo a battersi per questo è il "medico del cromosoma 21", come qualcuno lo chiama. «Non potevo non continuare ad occuparmi di loro, era come se li avessi abbandonati. Ci sono molto affezionato perché in 35 anni mi hanno riempito di affetto, mi hanno fatto scoprire un'altra visione del mondo». Il professor Carlo Baccichetti così raccontava la sua esperienza: una vita di lavoro con i Down e una aspettativa di pensione sempre con loro. È nella Fondazione Baccichetti, dedicata alla Sindrome di Down, che è finita la sua liquidazione ed è con i "suoi ragazzi" che continua a trascorrere le giornate. «Il 50 per cento dei Down ha un quoziente intellettivo che è al limite inferiore della normalità. Abbiamo tante persone considerate normali più stupide, ma che non hanno la faccia da Down. E questa è una grande ingiustizia sociale», dice spesso e chiede parità. I ragazzi Down rappresentano una risorsa, possono lavorare, impegnarsi, sanno regalare slanci di affetto che pochi cosiddetti normali conoscono. "L'ottavo giorno Dio creò i Down", tenere creature, così piene di umanità e capaci dei comunicare affetto da sembrare quasi irreali", così recitava un delicatissimo film francese e così timidamente sostiene il professor Baccichetti, che i ragazzi affetti da sindrome di Down li ama a tal punto da volerli proteggere nel presente e nel futuro, quando le famiglie non ci saranno più e per questi adulti quasi nella norma, con la sensibilità di una corda di violino vedranno dinnanzi a se aprirsi solo la possibilità di una casa di riposo.
La Fondazione, nata da una partnership pubblico-privato che ieri ha ottenuto dopo anni anche una sede ufficiale a Padova, grazie al Comune, vuole infatti diventare un "ponte", una sorta di traghetti tra il presente dei giovani Down e il loro futuro. Il domani si costruisce attraverso l'integrazione, la formazione, attraverso aiuti concreti e mirati che volgano soprattutto a cercare di inserirli nella società. Oggi il 44,4 per cento dei portatori della sindrome vivono oltre i 60 anni, il 71 per cento oltre i 30. «Questa constatazione deve indurre a riflettere sulla strada da seguire per rendere meno oneroso l'invecchiamento di questi soggetti, prima di tutto per loro stessi, e poi per la famiglia o la società - spiega il professor Baccichetti - Ecco perché è indispensabile programmare la loro educazione, l'occupazione e l'integrazione. Ma è anche indispensabile prevenire alcune complicanze che sono tipiche della loro condizione, la sordità, i problemi visivi, l'ipotiroidismo, la bassa statura, i deficit visivi, l'espulsione precoce dei denti, la depressione e la demenza».Attraverso la Fondazione si dovrà favorire la socializzazione della famiglia, che tenderebbe ad isolarsi dall'ambiente circostante, promuovendo, nel primo anno di vita, incontri con le famiglie. Un aiuto concreto deve poi arrivare alla madre, mentre i bambini devono precocemente essere inseriti all'asilo nido per permettere loro una crescita stimolante.In collaborazione con il Comune di Este, i Servizi sociali e l'Università di Padova è nato il progetto "Vita in comune nella casa". Ai ragazzi Down viene permesso di passare insieme il fine settimana, permettendo loro di acquisire con l'aiuto degli operatori una serie di autonomie sociali, quali muoversi per le strade, orientarsi, utilizzare il denaro, organizzarsi il tempo libero. Ma anche imparare ad essere autonomi ed adulti, sviluppando tutte quelle capacità che permettono una vita autonoma.Aiutarli a crescere, è quanto sostiene il professor Baccichetti. La vera vulnerabilità del Down non sta nella sua disabilità a compiere certe funzioni, ma piuttosto nella sua incapacità totale nell'essere cattivo. «La sua prima reazione è abbracciarti e darti affetto, perché vede il mondo senza malizia, perché vive con entusiamo. Perché è speciale».