MARTY
05-10-2006, 10:30
Scienza e Salute
Sindrome di Down: un amore diverso
di Gianna Milano
3/10/2006
http://www.panorama.it/scienze/medicina/articolo/ix1-A020001038176/idpag1-1
Hanno un'anomalia genetica, ma nella loro diversità questi ragazzi, se stimolati e aiutati a integrarsi nella scuola e nel mondo del lavoro, possono arrivare a vivere una vita gratificante e piena. È l'obiettivo delle tante associazioni che da anni si battono per loro
L'assistente del medico osserva per un secondo il piccolo prima di tornare a guardare la madre. Per un attimo ha la sensazione che qualcosa non vada. Come se l'attenzione data a quella creatura grinzosa e rosea fosse eccessiva. Poi gliela porgono: «Congratulazioni, è una femmina».
Chiede se c'è qualcosa che deve sapere. «Pensiamo abbia la sindrome di Down» le dicono infine. Tash, 39 anni e alla prima gravidanza, racconta al quotidiano inglese The Independent che una metà del suo cervello ha cercato di respingere l'informazione mentre l'altra metà vacillava.
Non era la figlia che voleva. Ma chi biasimare? Le era stato detto che alla sua età la possibilità di un figlio Down era 1 su 80. Le era stato proposta, alla 18° settimana, l'amniocentesi, ma comportava un rischio minimo, circa 1 su 100, di abortire. Non se l'era sentita di perdere un bambino tanto cercato.
«Attraverso lacrime (tante), paure, frustrazione e rabbia abbiamo cominciato ad amare nostra figlia Mia. Avrà anche gli occhi a mandorla, ma sono bellissimi quando mi guarda con quella sua miriade di espressioni così seducenti e uguali a quelle di ogni altro neonato.
Una sera l'avevo appoggiata al mio petto, sentii la vita che le scorreva dentro, e ho pensato: lei è quello che è, ed è nostra. Poco alla volta ho iniziato a focalizzarmi più su di lei, perché è Mia che dovrà sopportare la fatica di avere la sindrome di Down e quello di cui ha bisogno sono il nostro amore e la nostra determinazione» dice Tash.
È per alimentare questo filo di speranza e di progettualità, ma anche per combattere stereotipi e barriere, che il Coordinamento associazioni persone con sindrome di Down organizza l'8 ottobre la giornata nazionale dedicata a questa «diversabilità», come l'ha definita l'Oms.
Oggi in Italia un bambino su 1.200 nasce con questa sindrome e si stima siano 38 mila le persone Down nel Paese. Non più solo bambini, ma adulti e anche anziani. «Se negli anni 40 l'aspettativa di vita per chi nasceva con la sindrome era di 12 anni, oggi possono superare i 60 anni» osserva Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell'Associazione italiana persone Down (Aipd).
Un tempo la mortalità per malattie polmonari e cardiopatie era per loro molto più elevata che nella popolazione normale. Dietro la nuova longevità ci sono cure tempestive dai primi mesi di vita. «Ricordo che nel 1975 ci si poneva il problema di operare al cuore questi bambini: nel 40 per cento dei casi nascono con cardiopatie congenite, più spesso si tratta del canale atrioventricolare, un'apertura fra i due atri e i due ventricoli che fa mescolare sangue arterioso e venoso.
L'intervento ora è di routine» dice Pier Paolo Mastroiacovo, pediatra e direttore dell'International center on birth defects (Icbd), a Roma. Diversi sono oggi i centri negli ospedali che offrono un percorso programmato nel tempo per i problemi clinici che man mano si presentano nei bambini nati con la sindrome. «Per affrontare i loro bisogni speciali abbiamo formato dal 1991 un'équipe di specialisti: cardiologo, ortopedico, otorino, endocrinologo, oculista.
Giovani con sindrome di Down inseriti con successo nel mondo del lavoro: al tornio e, sotto, in un panificio
Un centro di riferimento all'interno dell'ospedale che segue via via che crescono i loro problemi» spiega Cesare Ghitti, pediatra al San Gerardo di Monza, dove vengono seguiti oltre 430 bambini con sindrome di Down da tutta la Lombardia. «Assistere con rigore scientifico, seguendo linee guida, è importante. Ne guadagna la loro qualità di vita e serve a ridurre l'ansia di genitori spesso spaesati» aggiunge Maria Grazia Dell'Orto, del Centro del San Gerardo, cui fa riferimento dal 1997 l'associazione Capirsi Down.
Prezioso è stato il lavoro di sensibilizzazione delle tante associazioni nate negli anni (l'Aipd ha 39 sedi periferiche e l'Unidown ne raccoglie 25), spesso per iniziativa di genitori che sentivano il bisogno di comunicare fra loro, raccogliere informazioni e creare opportunità, dall'inserimento nella scuola al lavoro.
Su internet sono sbocciati siti di incontro virtuale in cui genitori, fratelli e sorelle si scambiano esperienze. Dal primo anno di attività del forum www.sindromedown.it è nato il libro Come pinguini nel deserto, 400 e più pagine di storie variegate, preoccupazione, gioia, dolore, rifiuto, e del cammino che ogni genitore deve compiere.
«La condivisione dei sentimenti contrastanti resa possibile da questo mezzo virtuale è diventata per molti un supporto irrinunciabile al proprio faticoso percorso di accettazione» scrive il cantautore Eugenio Finardi nella prefazione. A Elettra, sua figlia Down, ha dedicato la canzone Un amore diverso.
Cos'è la sindrome di Down o trisomia 21? È un'alterazione genetica caratterizzata, nella sua forma più comune, dalla presenza di un cromosoma in più.
Il corredo di quei bastoncelli, le matasse di dna nel nucleo delle cellule, è di 47 e non di 46. Un capriccio della natura che avviene al momento in cui ovocita e spermatozoo, le cellule germinali con un set singolo di 23 cromosomi, formano un'unica cellula e inizia lo sviluppo. Il primo a descrivere fisionomia e sintomi dei bambini con questa anomalia fu nel 1862 il medico inglese John Langdon Down.
Ma per arrivare a scoprire le basi genetiche della sindrome passerà un secolo. Nel 1959 il pediatra francese Jérôme Lejuene scoprì che questi bambini hanno tre copie del cromosoma 21. La possibilità di avere un figlio con questa anomalia sale con l'età della donna. «Dopo i 35 anni si propone l'amniocentesi, un test invasivo fra la 16°-18° settimana di gravidanza, e comporta nello 0,5 per cento dei casi un rischio di aborto spontaneo.
Altro metodo, proposto a donne di ogni età, è il Tritest, un prelievo del sangue che fornisce solo la probabilità di avere un bambino con sindrome di Down e serve a decidere se eseguire l'amniocentesi o no. Non dà la certezza assoluta come l'amniocentesi. Così come l'esame della translucenza nucale, eseguito con l'ecografia» spiega Mastroiacovo.
Per troppo tempo le persone Down sono state liquidate come «ritardate» e quindi incapaci di avere una vita ricca e gratificante sia mentale sia sociale. Le limitazioni fisiche (una certa frequenza di ipotonia muscolare, problemi ricorrenti di vista, udito e disturbi alla tiroide) e intellettive (un variabile grado di ritardo mentale) non impediscono a questi bambini di compensare o recuperare, grazie a interventi educativi appropriati, le loro potenzialità.
A Roma dal 30 settembre al 5 ottobre si svolgono i Giochi europei per i ragazzi disabili
«Interagire con loro in modo corretto è importante. I genitori sono passati dall'accettazione passiva di un tempo, che non spingeva ad alcuna formazione educativa, forse a un iperinvestimento, stimolandoli nella speranza di far sparire i loro limiti, che spesso emergono nell'adolescenza. A quel punto sono loro stessi a percepire le differenze» dice Silvana Quadrino, psicoterapeuta.
«Ci sono genitori che fanno un investimento narcisistico sui figli, non solo Down. Li sottopongono a richieste eccessive, confrontandoli di continuo con i loro limiti e producendo un senso di inadeguatezza» aggiunge Clara Crespi, psicoterapeuta. «È vero però che negli ultimi anni genitori e operatori hanno maturato aspettative più realistiche verso questi ragazzi, grazie anche al lavoro delle associazioni» riferisce Contardi.
La legge che definisce le politiche di educazione e integrazione nella scuola dell'obbligo per i bambini disabili ha compiuto 30 anni. I piccoli con la sindrome di Down in Italia non frequentano scuole speciali, stanno con gli altri e hanno un insegnante di sostegno con programmi individualizzati.
Funziona l'integrazione? Sono bambini simpatici, allegri, affettuosi, che non disturbano, dicono le insegnanti. «Se alle elementari integrarsi è più facile, sono tutti piccoli e più o meno con la stessa età mentale, alle medie il deficit cognitivo emerge e le cose si complicano» avverte Margherita Mainini, insegnante di sostegno. «Purtroppo le occasioni per un lavoro didattico di vera integrazione sono poche.
Non ogni giorno si può fare un'attività manuale e psicomotoria che coinvolga tutti allo stesso modo. Se devono imparare davvero, dobbiamo ottimizzare il loro tempo e, soprattutto, non aver paura delle differenze, perché non tutti sono uguali agli altri, ma possono fare molti passi avanti nella loro specificità».
Gli anni del futuro adulto sono ancora da costruire. Se l'integrazione nella scuola è riuscita a ridurre lo stigma sociale, quella nel mondo del lavoro è lontana. «Un vero lavoro, però, che non sia un parcheggio ma un effettivo contributo produttivo» puntualizza Contardi.
Le leggi ci sono, ma c'è anche diffidenza da parte delle aziende. Un esperimento innovativo è in corso in un liceo di Matera per ovviare alla divisione fra scuola e mondo del lavoro. «All'interno della scuola ragazzi e ragazze organizzano possibilità di lavoro sul territorio per coetanei con sindrome di Down e altre disabilità. Funziona come un servizio aperto al quartiere: occorre sistemare i giardini? Loro si rendono disponibili. Serve un laboratorio di informatica? Loro acquisiscono competenze per farlo» racconta Carlo Calzone, neuropsichiatra di Matera.
Nelle strutture da attivare rientrano le comunità-alloggio, ci sono già alcune esperienze di piccoli gruppi di persone Down che vivono assieme in appartamenti, con la presenza più o meno assidua di educatori. È il risultato di un percorso di autonomia e distacco dalla famiglia e potrebbe ovviare all'angoscia del «dopo» che prende i genitori.
«Allungandosi i tempi di vita, è naturale che questi ragazzi rischino di restare soli. È necessario pensare a soluzioni residenziali adeguate» aggiunge Contardi. Uno degli obiettivi del Coordinamento è rendere accessibile anche a chi è Down e ha un piccolo lavoro il diritto alla pensione di reversibilità dei genitori.
Sindrome di Down: un amore diverso
di Gianna Milano
3/10/2006
http://www.panorama.it/scienze/medicina/articolo/ix1-A020001038176/idpag1-1
Hanno un'anomalia genetica, ma nella loro diversità questi ragazzi, se stimolati e aiutati a integrarsi nella scuola e nel mondo del lavoro, possono arrivare a vivere una vita gratificante e piena. È l'obiettivo delle tante associazioni che da anni si battono per loro
L'assistente del medico osserva per un secondo il piccolo prima di tornare a guardare la madre. Per un attimo ha la sensazione che qualcosa non vada. Come se l'attenzione data a quella creatura grinzosa e rosea fosse eccessiva. Poi gliela porgono: «Congratulazioni, è una femmina».
Chiede se c'è qualcosa che deve sapere. «Pensiamo abbia la sindrome di Down» le dicono infine. Tash, 39 anni e alla prima gravidanza, racconta al quotidiano inglese The Independent che una metà del suo cervello ha cercato di respingere l'informazione mentre l'altra metà vacillava.
Non era la figlia che voleva. Ma chi biasimare? Le era stato detto che alla sua età la possibilità di un figlio Down era 1 su 80. Le era stato proposta, alla 18° settimana, l'amniocentesi, ma comportava un rischio minimo, circa 1 su 100, di abortire. Non se l'era sentita di perdere un bambino tanto cercato.
«Attraverso lacrime (tante), paure, frustrazione e rabbia abbiamo cominciato ad amare nostra figlia Mia. Avrà anche gli occhi a mandorla, ma sono bellissimi quando mi guarda con quella sua miriade di espressioni così seducenti e uguali a quelle di ogni altro neonato.
Una sera l'avevo appoggiata al mio petto, sentii la vita che le scorreva dentro, e ho pensato: lei è quello che è, ed è nostra. Poco alla volta ho iniziato a focalizzarmi più su di lei, perché è Mia che dovrà sopportare la fatica di avere la sindrome di Down e quello di cui ha bisogno sono il nostro amore e la nostra determinazione» dice Tash.
È per alimentare questo filo di speranza e di progettualità, ma anche per combattere stereotipi e barriere, che il Coordinamento associazioni persone con sindrome di Down organizza l'8 ottobre la giornata nazionale dedicata a questa «diversabilità», come l'ha definita l'Oms.
Oggi in Italia un bambino su 1.200 nasce con questa sindrome e si stima siano 38 mila le persone Down nel Paese. Non più solo bambini, ma adulti e anche anziani. «Se negli anni 40 l'aspettativa di vita per chi nasceva con la sindrome era di 12 anni, oggi possono superare i 60 anni» osserva Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell'Associazione italiana persone Down (Aipd).
Un tempo la mortalità per malattie polmonari e cardiopatie era per loro molto più elevata che nella popolazione normale. Dietro la nuova longevità ci sono cure tempestive dai primi mesi di vita. «Ricordo che nel 1975 ci si poneva il problema di operare al cuore questi bambini: nel 40 per cento dei casi nascono con cardiopatie congenite, più spesso si tratta del canale atrioventricolare, un'apertura fra i due atri e i due ventricoli che fa mescolare sangue arterioso e venoso.
L'intervento ora è di routine» dice Pier Paolo Mastroiacovo, pediatra e direttore dell'International center on birth defects (Icbd), a Roma. Diversi sono oggi i centri negli ospedali che offrono un percorso programmato nel tempo per i problemi clinici che man mano si presentano nei bambini nati con la sindrome. «Per affrontare i loro bisogni speciali abbiamo formato dal 1991 un'équipe di specialisti: cardiologo, ortopedico, otorino, endocrinologo, oculista.
Giovani con sindrome di Down inseriti con successo nel mondo del lavoro: al tornio e, sotto, in un panificio
Un centro di riferimento all'interno dell'ospedale che segue via via che crescono i loro problemi» spiega Cesare Ghitti, pediatra al San Gerardo di Monza, dove vengono seguiti oltre 430 bambini con sindrome di Down da tutta la Lombardia. «Assistere con rigore scientifico, seguendo linee guida, è importante. Ne guadagna la loro qualità di vita e serve a ridurre l'ansia di genitori spesso spaesati» aggiunge Maria Grazia Dell'Orto, del Centro del San Gerardo, cui fa riferimento dal 1997 l'associazione Capirsi Down.
Prezioso è stato il lavoro di sensibilizzazione delle tante associazioni nate negli anni (l'Aipd ha 39 sedi periferiche e l'Unidown ne raccoglie 25), spesso per iniziativa di genitori che sentivano il bisogno di comunicare fra loro, raccogliere informazioni e creare opportunità, dall'inserimento nella scuola al lavoro.
Su internet sono sbocciati siti di incontro virtuale in cui genitori, fratelli e sorelle si scambiano esperienze. Dal primo anno di attività del forum www.sindromedown.it è nato il libro Come pinguini nel deserto, 400 e più pagine di storie variegate, preoccupazione, gioia, dolore, rifiuto, e del cammino che ogni genitore deve compiere.
«La condivisione dei sentimenti contrastanti resa possibile da questo mezzo virtuale è diventata per molti un supporto irrinunciabile al proprio faticoso percorso di accettazione» scrive il cantautore Eugenio Finardi nella prefazione. A Elettra, sua figlia Down, ha dedicato la canzone Un amore diverso.
Cos'è la sindrome di Down o trisomia 21? È un'alterazione genetica caratterizzata, nella sua forma più comune, dalla presenza di un cromosoma in più.
Il corredo di quei bastoncelli, le matasse di dna nel nucleo delle cellule, è di 47 e non di 46. Un capriccio della natura che avviene al momento in cui ovocita e spermatozoo, le cellule germinali con un set singolo di 23 cromosomi, formano un'unica cellula e inizia lo sviluppo. Il primo a descrivere fisionomia e sintomi dei bambini con questa anomalia fu nel 1862 il medico inglese John Langdon Down.
Ma per arrivare a scoprire le basi genetiche della sindrome passerà un secolo. Nel 1959 il pediatra francese Jérôme Lejuene scoprì che questi bambini hanno tre copie del cromosoma 21. La possibilità di avere un figlio con questa anomalia sale con l'età della donna. «Dopo i 35 anni si propone l'amniocentesi, un test invasivo fra la 16°-18° settimana di gravidanza, e comporta nello 0,5 per cento dei casi un rischio di aborto spontaneo.
Altro metodo, proposto a donne di ogni età, è il Tritest, un prelievo del sangue che fornisce solo la probabilità di avere un bambino con sindrome di Down e serve a decidere se eseguire l'amniocentesi o no. Non dà la certezza assoluta come l'amniocentesi. Così come l'esame della translucenza nucale, eseguito con l'ecografia» spiega Mastroiacovo.
Per troppo tempo le persone Down sono state liquidate come «ritardate» e quindi incapaci di avere una vita ricca e gratificante sia mentale sia sociale. Le limitazioni fisiche (una certa frequenza di ipotonia muscolare, problemi ricorrenti di vista, udito e disturbi alla tiroide) e intellettive (un variabile grado di ritardo mentale) non impediscono a questi bambini di compensare o recuperare, grazie a interventi educativi appropriati, le loro potenzialità.
A Roma dal 30 settembre al 5 ottobre si svolgono i Giochi europei per i ragazzi disabili
«Interagire con loro in modo corretto è importante. I genitori sono passati dall'accettazione passiva di un tempo, che non spingeva ad alcuna formazione educativa, forse a un iperinvestimento, stimolandoli nella speranza di far sparire i loro limiti, che spesso emergono nell'adolescenza. A quel punto sono loro stessi a percepire le differenze» dice Silvana Quadrino, psicoterapeuta.
«Ci sono genitori che fanno un investimento narcisistico sui figli, non solo Down. Li sottopongono a richieste eccessive, confrontandoli di continuo con i loro limiti e producendo un senso di inadeguatezza» aggiunge Clara Crespi, psicoterapeuta. «È vero però che negli ultimi anni genitori e operatori hanno maturato aspettative più realistiche verso questi ragazzi, grazie anche al lavoro delle associazioni» riferisce Contardi.
La legge che definisce le politiche di educazione e integrazione nella scuola dell'obbligo per i bambini disabili ha compiuto 30 anni. I piccoli con la sindrome di Down in Italia non frequentano scuole speciali, stanno con gli altri e hanno un insegnante di sostegno con programmi individualizzati.
Funziona l'integrazione? Sono bambini simpatici, allegri, affettuosi, che non disturbano, dicono le insegnanti. «Se alle elementari integrarsi è più facile, sono tutti piccoli e più o meno con la stessa età mentale, alle medie il deficit cognitivo emerge e le cose si complicano» avverte Margherita Mainini, insegnante di sostegno. «Purtroppo le occasioni per un lavoro didattico di vera integrazione sono poche.
Non ogni giorno si può fare un'attività manuale e psicomotoria che coinvolga tutti allo stesso modo. Se devono imparare davvero, dobbiamo ottimizzare il loro tempo e, soprattutto, non aver paura delle differenze, perché non tutti sono uguali agli altri, ma possono fare molti passi avanti nella loro specificità».
Gli anni del futuro adulto sono ancora da costruire. Se l'integrazione nella scuola è riuscita a ridurre lo stigma sociale, quella nel mondo del lavoro è lontana. «Un vero lavoro, però, che non sia un parcheggio ma un effettivo contributo produttivo» puntualizza Contardi.
Le leggi ci sono, ma c'è anche diffidenza da parte delle aziende. Un esperimento innovativo è in corso in un liceo di Matera per ovviare alla divisione fra scuola e mondo del lavoro. «All'interno della scuola ragazzi e ragazze organizzano possibilità di lavoro sul territorio per coetanei con sindrome di Down e altre disabilità. Funziona come un servizio aperto al quartiere: occorre sistemare i giardini? Loro si rendono disponibili. Serve un laboratorio di informatica? Loro acquisiscono competenze per farlo» racconta Carlo Calzone, neuropsichiatra di Matera.
Nelle strutture da attivare rientrano le comunità-alloggio, ci sono già alcune esperienze di piccoli gruppi di persone Down che vivono assieme in appartamenti, con la presenza più o meno assidua di educatori. È il risultato di un percorso di autonomia e distacco dalla famiglia e potrebbe ovviare all'angoscia del «dopo» che prende i genitori.
«Allungandosi i tempi di vita, è naturale che questi ragazzi rischino di restare soli. È necessario pensare a soluzioni residenziali adeguate» aggiunge Contardi. Uno degli obiettivi del Coordinamento è rendere accessibile anche a chi è Down e ha un piccolo lavoro il diritto alla pensione di reversibilità dei genitori.