Cosa rispondere ad Alessia, 15 anni, che , questa mattina, mentre si prepararva per andare a scuola mi ha chiesto : Cosa mi dirai quando sarò io ad aspettare un bambino?
Sua sorella è alla 28 ma settimana di gravidanza per cui lei è particolarmente coinvolta anche perchè sarà la "madrina"...ma , a parte questo, da sempre ha manifestato particolare interesse per ibambini piccolissimi tanto che, già verso i 6-7 anni, arrivava da noi con pancioni finti .
Presa in contropiede, io le ho risposto che sarei contenta ma che non tutte le donne possono avere bambini.
A suo tempo le avevo spiegato che per avere un bambino occorrono sia la mamma che il papà e che , a volte, anche questo non è sufficiente e le avevo portato ad esempio persone che lei conosce e che non hanno figli.
Ho sempre pensato che dire la verità sia la cosa migliore , ma , in questa occasione, sono in difficoltà ....come dirle senza ferirla, che non potrà avere bambini?
Io la conosco e se , per adesso, si è accontentata della mia risposta, fra un pò , tornerà a chiedermi spiegazioni più dettagliate.
La ringrazio
Daniela, mamma di Alessia
francesca
09-10-2006, 16:09
Questa Daniela è la risposta per te che il Prof. Cuomo mi ha chiesto di pubblicare sul forum scusandosi per il ritardo.
Gent.ma Signora Daniela,
Alessia oggi ha 15 anni (non si può considerare più una bambina), va a scuola , ha la Sindrome di Down.
Siccome, a mio parere, “verità” è una parola troppo impegnativa e per discutere su questa si necessiterebbe di molte argomentazioni e tempo, in questa riflessione, sostituirò la parola “verità” con sincerità, parola che personalmente la sento più possibile, alla mia portata.
Dire la (“verità”) “essere sinceri”, come lei sottolinea: "ho sempre pensato che fosse la cosa migliore", è una condizione educativa sicuramente consigliabile.
L’essere sinceri ha bisogno di estrema attenzione, delicatezza e tatto su come dare una informazione, quando darla (necessita di competenze in special modo quando bisogna dare delle informazioni e chiarimenti ad una persona Down).
La sincerità necessita di strategie differenti in relazione a chi è diretta l’informazione, nel nostro caso è indispensabile (per non correre il rischio di essere fraintesi e/o di produrre disorientamenti) fornire ad Alessia gli strumenti culturali e psicologici per poter comprendere ed adattarsi alla realtà in cui vive.
Sicuramente è difficile (specialmente per una mamma) trovare il momento e le parole opportune per affrontare il: “come dirle senza ferirla, che non potrà avere bambini?”.
La mia esperienza (in trent’anni di ricerca multi ed interdisciplinare in cooperazione con le famiglie in particolare di bambini e persone con trisomia 21) mi ha insegnato e sta insegnando che non è opportuno attendere che emergano da soli certi interrogativi problematici ma che bisogna anticiparli in occasioni e situazioni anche se possono sembrare precoci e/o lontane e diverse da quelle provocate dagli eventi, dagli accadimenti .Preparare prima ed in un progetto a saper affrontare alcune problematiche “delicate” , come quella che lei espone nella sua lettera, sicuramente è meglio ed è preventivo rispetto al forte rischio di formarsi immaginari che possono costruire nella persona dei fantasmi negativi che potrebbero essere, per superarli, di difficile gestione sia da parte dei genitori che da parte degli esperti.
Riporto un episodio esemplificativo tra tanti incontrati nella mia esperienza:
Luca (ragazzo con trisomia 21 di 14 anni) in un colloquio di quelli che periodicamente (Luca ed i suoi genitori erano al primo incontro con me) ho con la famiglia, gli insegnanti, i terapisti chiede di parlarmi da solo. I genitori escono insieme all’insegnante di sostegno e rimaniamo soli io, la mia collaboratrice e Luca. Il ragazzo, dopo aver avvicinato la sedia alla scrivania, a bassa voce e con un tono serio e preoccupato mi chiede: ‘Io sono Down, ho la trisomia 21?’.
Luca non aveva avuto alcuna informazione circa il suo stato, aveva vissuto itinerari medico-riabilitativi, educativi particolari, aveva l’insegnante di sostegno, sentiva e notava che intorno a lui vi erano comportamenti particolari, che veniva guardato, trattato diversamente,… ma non sapeva perché. Questo significava notare, avere sospetti ed immaginare chissà cosa.
Con parole semplici, con molti esempi, facendogli vedere alcuni video, rispondendo a sue domande che scaturivano dalle mie risposte, rassicurandolo che anche lui, con gli aiuti che tutti erano pronti a dargli, avrebbe potuto condurre una vita come tutti gli altri,… al fine di questa intima chiacchierata Luca, appoggiando la schiena alla sedia, in un sospiro di sollievo, sorridendo mi ha detto: ‘ Meno male!Pensavo di avere una malattia grave e di morire’.
E’ possibile che la domanda di Alessia sia un iceberg che ha un volume sommerso molto più ampio di quanto emerge dall’evento “nascita del nipotino”; è inoltre da tenere presente che la richiesta è legata alla sua attuale maturità sessuale, alla curiosità, ai desideri e bisogni conseguenti.
Nel rispondere alla sua lettera mi sono venuti in mente alcuni interrogativi su cui ritengo necessario dobbiate soffermarvi a riflettere come genitori per poter in seguito formulare minimamente plausibili ipotesi per orientare le vostre scelte su come intervenire. Ipotesi che andrebbero chiarite in un approfondito confronto con esperti.
Gli interrogativi sono:
Alessia sa di avere la trisomia 21?
Come ne è venuta a conoscenza?
Come vive questo suo stato?
Ha ricevuto e sta ricevendo supporti psicologici e culturali per comprendere e elaborare nel miglior modo possibile il suo stato?
I ragionamenti che si fanno con Alessia e le spiegazioni che le si danno tengono conto che ha la Sindrome di Down e che necessita di strumenti, ausili, modalità mediatrici per poter comprendere non correndo il probabile rischio di fraintendimenti ?
Alessia ha 15 anni (come ho accennato inizialmente non è più una bambina) bisognerebbe tener conto di come gli altri si relazionano con lei a scuola, a casa, nel tempo libero: è trattata da quindicenne o ancora da bambina?
La scuola sta fornendo ad Alessia percorsi strettamente e meramente tecnico-didattici riferendosi cioè prevalentemente all'aritmetica, geografia, storia, leggere, scrivere, ...?
I diversi interventi sono in un progetto con la finalità di fornire alla ragazza gli strumenti culturali fondati su di un percorso educativo coerente?
Come si è affrontato man mano lo sviluppo e la maturità sessuale di Alessia?
Come è caratterizzato il percorso che ha aiutato e sta aiutando Alessia a superare le difficoltà che la Sindrome di Down le proponeva e propone?
Quando parlo di percorso non parlo di un programma didattico ma pedagogico-educativo finalizato a far maturare cognitivamente ed affettivamente la ragazza, ad insegnarle a pensare, a confrontare, a valutare, a decidere, a gestire le frustrazioni. Un percorso in cui la famiglia non può essere lasciata sola, ma dovrebbe essere sostenuta ed ausiliata da professionisti nel campo medico-riabilitativo e in special modo della psicologia e della Pedagogia Speciale.
La saggezza, sicuramente presente nella famiglia, purtroppo non è spesso sufficiente (in particolare quando si è in presenza di un figlio con Sindrome di Down) e risulta importante,
come lei ha fatto scrivendo la sua lettera, confrontarsi con esperti.
Risulta difficile pensare ad una risposta solo facendo riferimento ai suoi legittimi ed importanti dubbi di mamma, bisognerebbe allargare l’attenzione alla storia di Alessia, alla sua originalità, alla sua sensibilità, al suo vissuto anche parlando con la ragazza.
La richiesta di Alessia sicuramente ha percorsi e concatenamenti di pensieri che si legano al suo vissuto, a degli eventi che le sono accaduti di cui forse non si è saputa spiegare ancor oggi la ragione.
Emerge con frequenza dalle ricerche la possibilità che persone con il vissuto di Alessia, nella sua storia, abbia avuto episodi ed esperienze che attraverso la sua sensibilità ha avvertito intuitivamente come “strani” ed è molto probabile che:
sin da molto piccola abbia percepito emozionalmente la forte preoccupazione (anche se celata, non manifestata) dei genitori nei suoi riguardi;
i percorsi particolari delle terapie abbiano messo in contatto Alessia
con altri bambini con evidenti problemi, altri genitori preoccupati, terapisti che l'hanno trattata (anche se affettivamente e gentilmente) in maniera diversa;
Alessia sente, percepisce che i compagni, gli altri, la
guardano in maniera diversa;…
Queste situazioni ipotizzate ed accennate ed altre propongono atmosfere, condizioni relazionali che la ragazza può percepire come “strane” e far nascere in persone come Alessia degli interrogativi che frequentemente non si sanno esternare ma che si vivono a livello emozionale determinando spesso una condizione di sospetto, di diffidenza che può sollecitare preoccupazioni, timori, paure (la nascita, la morte, la malattia, il perché si è nati con caratteristiche diverse dalla sorella, come sarà il nipote, a chi somiglierà, “…se dovessi avere un figlio a chi somiglierà, avrà la sindrome…” possono essere i pensieri che Alessia sta inseguendo) .
Le nostre ricerche rilevano che frequentemente si assiste a situazioni in cui persone con trisomia 21 rischiano un significativo disorientamento quando, in differenti contesti e situazioni, vengono trattati ora da bambini, ora da adulti, ora in modo “normale”, ora in modo “speciale”.Quando si forniscono loro spiegazioni sommarie o molto particolareggiate ma che non comprendono. Quando si nascondono alcune notizie. Quando si parla in loro presenza come se non capissero…
Tornando ai contesti, alle relazioni, alle atmosfere situazionali ed a come possono apparire “strani” - facendo nascere molto probabilmente in Alessia dubbi e sospetti - riporto per esempio situazioni che ritrovo spesso nelle casistiche da me studiate, è probabile che Alessia si chieda:
come mai non esce frequentemente con le sue coetanee;
come mai le sue amiche non la implicano in certi discorsi (a questa età le ragazze "parlottano" e bisbigliano tra loro di amori, di fidanzati, di ... ed Alessia sente, intuisce attraverso stati emozionali e non comprende i loro “bisbigli”, vede che non è implicata nei loro discorsi, percepisce che non la includono nelle loro complicità).
Alessia forse sente di dover parlare con altri, che non siano i genitori, di "certe cose" quelle cose di cui parlano le sue amiche ma che lei non sa di cosa si tratta pur sentendone l’emozione.
Alessia sta diventando grande ed ha bisogno di un attento progetto che la immetta verso una vita autonoma ed indipendente.
I genitori, a mio avviso, necessitano di un confronto in due ambiti:
- sul piano psicologico per avere informazioni corrette sul come comportarsi e vincere le possibili paure legate alla crescita della ragazza (anche Alessia ha bisogno di un professionista che avendo competenze e strumenti culturali nell'ambito della psicologia le fornisca riferimenti per gestire le emozioni, per organizzare il proprio pensiero in modo adulto, per superare le probabili frustrazioni che come tutti, anche lei dovrà affrontare);
- sul piano della Pedagogia Speciale per fornire alla ragazza le competenze e le abilità per organizzare e gestire il suo futuro verso una vita autonoma ed indipendente.
In questa mia risposta non le ho voluto fornire una o delle ricette, i dati che lei mi ha inviato non mi permettono di darle una risposta adeguata, ma offrirle l’opportunità di riflettere in una dimensione più ampia; Alessia è una ragazza originale e necessita di attenzioni particolari, data la sua sensibilità ed il suo stato di persona con Sindrome di Down (anche l'essere consapevole di avere la Sindrome di Down è un percorso che bisogna realizzare e verificare nel tempo se è stato chiaramente compreso). Per fortuna oggi abbiamo molte esperienze che propongono l’intervenire per costruire per Alessia un futuro di vita di alta qualità e questo futuro va organizzato per poter rispondere ad una domanda che molte persone come Alessia portano nel loro intimo man mano che crescono:
"e dopo i miei genitori?" .
Sicuramente, signora Daniela, la sua lettera e le sue domande hanno una grande importanza ed il merito di proiettare le riflessioni non meramente alle terapie ed alla didatticama alla qualità di vita.
Penso che bisognerebbe creare un gruppo di genitori che si confrontino specialmente per ipotizzare quelle condizioni di alta qualità, oggi possibili, per i loro figli donne e uomini con la Sindrome di Down pensando al loro futuro da adulti verso una vita autonoma e indipendente con l’emozione di conoscere ed il desiderio di esistere.
Nicola Cuomo
P.S.
Per quanto riguarda l’interesse che Alessia manifesta verso i bambini potrebbe essere uno spunto (anche se andrebbe valutato attentamente in colloqui) sia per responsabilizzarla nei riguardi del futuro nipotino che per orientarla verso un itinerario professionale.
Le esperienze di itinerari formativi e di inserimento lavorativo che hanno dato buoni risultati hanno visto persone con trisomia 21 formarsi e lavorare con competenza nel ruolo di “assistenti ludici” in nidi e scuole di infanzia.
Itinerari che possono rispondere al desiderio di rapportarsi con bambini ed esprimersi attraverso azioni di maternage.
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