Visualizza la versione completa : Non volevo essere felice da sola
Dalla Repubblica di oggi con trafiletto di partenza dalla prima pagina!!! :D
33 anni è entrata nell'Ordo Virginium. Lavora e fa teatro
La madre: "Ora pensa d'andare in Kenya, ci riuscirà"
Cristina, ragazza down, si fa suora
"Non volevo essere felice da sola"
di ENRICO BONERANDI
ROMA - Il suo sogno è di lavorare in Africa come missionaria, mettendo a frutto gli studi da crocerossina. Un altro sogno, che si realizzerà presto, a fine agosto, è di portare il suo gruppo al meeting europeo di Playback Theatre - una tecnica teatrale interattiva basata sull'improvvisazione - a Longiano, vicino a Rimini. Cristina Acquistapace ha 33 anni ed è una suora. Una suora con la sindrome di down.
Nel viso e nei movimenti i segni del suo stato sono palesi. Ma altrettante forte è la sua voglia di vivere senza disperazioni, anzi, con entusiasmo. Non è che la Chiesa apra le braccia facilmente a persone che presentino problemi come i suoi: prima si vuole essere ben certi dell'autenticità delle vocazioni. Passano anni, prove, verifiche, anche severe. Da parte sua, Cristina ha cercato a lungo l'ordine più adatto. "Non voglio entrare in una comunità dove mi trattino come una poveretta", ha confidato alla madre. Ha preso informazioni, ha conosciuto altre suore, ha fatto colloqui, un po' come quando si cerca un lavoro o si sceglie una facoltà. La scorsa primavera, la consacrazione nell'Ordo Virginum - un ordine laico che non richiede la dimora in monastero - con una cerimonia affollatissima nella chiesa del Sacro Cuore di Sondrio, alla presenza del vescovo di Como, Alessandro Maggiolini. Cancellate le perplessità sia in famiglia che in Curia. "La sindrome di down per me non è stata né una maledizione né una benedizione - spiega Cristina - ma il modo per capire che sono portata per delle cose e non per altre. E sono pronta ad affrontare gli impegni che ho assunto".
La sua è una storia straordinaria (raccontata ieri dall'agenzia "Redattore Sociale"). I medici non lasciano speranze su miglioramenti fisici significativi. Il più grosso handicap è la vista. Ma per fortuna le capacità psichiche sono buone, grande la voglia di comunicare con gli altri, rocciosa la volontà. Elementari e medie "normali", poi una scuola differenziale dove tra le altre cose impara il lavoro di sarta. Ma la vista non la sorregge, peggiora. A 19 anni Cristina fa qualche lavoretto, ma sogna di viaggiare, di conoscere gente e posti nuovi. Così convince la madre a lasciarla andare in Africa, dove una zia suora è missionaria. Ed è in Kenya, mentre dà una mano nell'ospedale gestito dalle religiose, che matura la sua vocazione: "Non voglio essere felice da sola".
A casa - dove, tra l'altro, a parte la zia suora, non è che siano praticanti - pensano a un capriccio destinato a passare. Pure la zia non è d'accordo. Ma Cristina tiene duro. Ogni anno, per un mese, torna in Kenya e mostra che, nonostante i suoi limiti, può essere d'aiuto. Quello che tutti, anche i più diffidenti, finiscono per apprezzare in lei è l'equilibrio e la fiducia che riesce a infondere in chi soffre. Racconta Marilena, la madre: "Mia sorella suora ha chiamato e ci ha detto: "non possiamo far finta di niente. Cristina ha una vocazione sincera. Abbiamo il diritto di dirle di no, solo a causa di quel cromosoma in più che si porta dentro?"".
Sono dovuti passare altri cinque anni, ma alla fine la tenacia di Cristina è stata premiata. Continua ad abitare in famiglia, ha un lavoro part-time in una scuola materna e una serie incredibile di attività, tra cui appunto il teatro. Oltre, ovviamente, agli esercizi spirituali con le consorelle. Recentemente ha accompagnato un gruppo di malati a Lourdes e ha visitato la Terra Santa. Un ciclone. Con le persone affette dalla sua sindrome lavora solo se non vivono in un ghetto separato dal mondo. Nei suoi pensieri, però, c'è sempre l'Africa. "È felice e realizzata, la persona più equilibrata della famiglia", dice ridendo la madre. Il Kenya? "Prima o poi la prenderanno. Quando si mette in testa un progetto, non la ferma nessuno".
Stamattina, dopo un sms di una socia di pianetadown ;), ho atteso con trepidazione l'arrivo della Repubblica!!!!
grandioso, Cristina, addirittura il richiamo in prima pagina!!!
La Repubblica, devo dire, è un giornale molto sensibile al tema. Da quando Lucrezia è nata, ogni anno, in estate, c'è stato un articolo a pagina intera sulla sindrome di Down, prendendo spunto da qualche argomento particolarmente interessante, come la consacrazione di Cris, la partecipazione di Alfredo Scarlata al film "Ti voglio bene Eugenio", ecc.
L'anno prossimo potremmo cogliere la palla al balzo, all'inizio della stagione, per far conoscere gli altri nostri ragazzi grandicelli e fare pubblicità al forum!!! :) :oops:
Oggi hanno dato la notizia anche al telegiornale, grandioso! :D
Oggi vivono più a lungo e meglio
PressIntegrazione n. IV/517 del 03-08-2006
La Repubblica (solo per abbonati)
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Link all'articolo originale: http://repubblica.extra.kataweb.it/edicola/repubblica/a.chk?Action=updateLight&url=NZmundox_9641460.html&data=03_Agosto_2006&sezione=Cronaca&giornale=repubblica&isLocale=false
L´esperta: il vero scoglio è l´età adulta, trovare un lavoro, soddisfare i propri desideri. "Ecco perché quella di suor Cristina è una bella storia"
E oggi vivono più a lungo e meglio
Biblioteche, segreterie, ristoranti: con la sindrome ma sempre più integrati
"Conosco almeno una cinquantina di ragazzi che fanno lavori in biblioteca, segreteria, ristoranti. E posso dire che che si tratta di esperienze riuscite"
MARIA NOVELLA DE LUCA
ROMA - Vivono più a lungo, vivono meglio, e l´integrazione, in molti casi, è una solida realtà. Certo, le barriere sono ancora alte e forti, ma oggi un bambino che nasce con la sindrome di down ha la concreta prospettiva di superare i sessant´anni d´età, e di poter sviluppare al massimo le proprie, diversamente abili, capacità. Nel nostro paese, spiega Franca Torti, dell´associazione Unidown che segue in tutta Italia più di 5000 bambini nati con un cromosoma in più, «ci sono 38mila persone down, e le loro condizioni di vita sono nettamente migliorate negli ultimi anni, sia da un punto di vista fisico che mentale, anche se la possibilità di conquistare una vita autonoma è strettamente collegata alla rete di strutture che li circonda e li sostiene fin dall´infanzia». Infatti. Dietro la nuova «longevità» delle persone down ci sono cure tempestive fin dai primi mesi di vita delle cardiopatie congenite, strutture di riabilitazione per superare i ritardi motori, e soprattutto famiglie e scuole che aiutano il bambino, e poi l´adolescente, e poi l´adulto ad inserirsi nella società.
«La conseguenza - dice Franca Torti - è che dove le "reti" funzionano la vita delle persone down è migliore, e così le loro chance di passare dalla condizione di "assistiti" ad una condizione di autonomia. Per questo mi ha colpito la storia della ragazza che ha deciso di diventare suora: perché ha potuto scegliere il proprio futuro, non le è stata negata cioè la possibilità di seguire la propria vocazione pur essendo down. Con tutte le limitazioni fisiche e psichiche di questa condizione, che è giusto non negare». Un caso raro però quello di Cristina Acquistapace, adesso diventata suor Cristina, perché il vero scoglio per i down è proprio il «futuro adulto», e gli anni del «dopo», quando allungandosi i tempi di vita è naturale che i genitori muoiano, e la persona disabile rischia di restare sola. «Per questo è fondamentale l´inserimento nel mondo del lavoro, un lavoro vero, che non sia un parcheggio. Le leggi ci sono, ma la diffidenza delle aziende è ancora alta - aggiunge la presidente di Unidown - perché si pensa sempre alle persone down in modo assistenziale, mentre si tratta di lavoratori a tutti gli effetti. Conosco almeno una cinquantina di ragazzi che fanno lavori di biblioteca, segreteria, che hanno aperto un ristorante, che lavorano nelle cooperative, e posso dire che si tratta di esperienze riuscite».
In Italia nasce un bimbo down ogni mille, e la percentuale cresce con il crescere dell´età materna. E´ vero però che con la diagnosi prenatale la sindrome di down si può vedere fin dal quarto mese, e si può quindi fare, anche, una scelta. «Non so se l´amniocentesi abbia portato ad una diminuzione dei casi - conclude Franca Torti - però posso dire che molte coppie, dopo aver appreso la notizia, vengono da noi per parlare, e per capire quale potrebbe essere il futuro del loro bambino. Nella mia esperienza ho visto diversi genitori tornare, a pochi mesi dalla nascita del figlio, proprio per avere consigli e suggerimenti su come affrontare al meglio e senza perdere tempo la situazione. Altre coppie, invece, fanno una scelta diversa. Ma queste sono decisioni intime, private, che non spetta noi giudicare».
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Da Oggi di questa settimana
Le vacanze serene di Cristina, suora laica con handicap
Tra i miei monti capisco che per Dio non sono Down
di Laura D'Incaici
Rasura (Sonano), agosto Chiamami semplicemente Cristina, non sono una suora ma una consacrata laica» .Mette i puntini sulle i, la giovane «suora» che ha pienamente realizzato la sua vocazione nonostante la sindrome di Down, con i suoi inequivocabili segni. L'abbiamo lasciata quasi cinque mesi fa, felice, dopo la consacrazione avvenuta il 25 marzo nella chiesa del Sacro Cuore di Sondrio, a opera del vescovo di Como monsignor Alessandro Maggiolini (vedi Oggi n. 16 del 19 aprile 2006). La ritroviamo ora, in piena estate, ancora più felice, mentre trascorre vacanze spensierate tra i suoi monti, circondata dagli affetti familiari. È con la mamma Marilena, infermiera
in pensione, che dopo le iniziali perplessità oggi la incoraggia e la sostiene nella sua vocazione, e con la sorella minore Francesca e le sue due figliolette, Martina e Ines, le nipotine adorate. Cristina ha un altro fratello, il diciottenne Stefano.
Nata con un'anomalia cromosomica a Regoledo di Cosio, in Valtellina, 34 anni fa, quando, specialmente in un piccolo paese fuori dal mondo, non era certo facile ricorrere a terapie d'avanguardia, Cristina Acquistapace è una ragazza fortunata. La cura miracolosa che l'ha messa in grado di perseguire fino in fondo il suo progetto di vita è basata su massicce dosi di affetto. «Mio padre, insegnante di scuola elementare, aveva lavorato in un istituto per disabili e mia mamma, prima che io nascessi, si era detta disponibile ad adottare un bambino con qualche difficoltà», spiega «Cri», lasciando scorrere le parole veloci, senza tentennamenti. «Così, quando sono arrivata, li ho messi di sicuro a dura prova, ma erano pronti, e non mi sono mai sentita rifiutata da loro o trattata come un'anormale. La mia vita finora è stata bellissima». La serenità della prima infanzia si unisce oggi alla soddisfazione di aver trovato la propria strada, sempre sul filo di una assoluta «normalità».
«Quando ho espresso il desiderio di voler entrare in un ordine religioso mi hanno preso per matta. Anche i miei cari all'inizio hanno fatto dì tutto per dissuadermi, prospettandomi le difficoltà che avrei incontrato. Ma non mi sono arresa, anche se sono consapevole dei limiti dovuti alla mia malattia, per cui ho la vista difettosa e anche qualche problema muscolare. Ma ora eccomi qui, contenta». La tenacia di Cristina ha frantumato tutti gli ostacoli. La sua esistenza è quella di prima: è sempre ausiliaria di cucina nella scuola materna di Regoledo, ma, in attesa di partire per l'amata Africa come missionaria, la sua fede s'è fatta più intensa, più profonda. Vive la sua esperienza religiosa all'interno dell'Orde Virginum, l'«ordine delle vergini» che nella diocesi di Como conta sedici consorelle e che non esclude la permanenza in famiglia. È stato proprio il vescovo della città lariana, monsi-gnor Maggiolini, a credere di più in lei. «Vorrei che tanti che non hanno la sindrome di Down riuscissero a capire, reagire ed esprìmersi come Cristina», dichiara a Oggi. «La Chiesa non prevede norme particolari per valutare queste situazioni, ma emette un giudizio su ogni singolo caso e verifica che la persona abbia le doti necessarie per attuare i compiti derivanti dalla consacrazione. Ebbene, dopo aver conosciuto Cristina so che non è tipo che si lascia intrappolare da emozioni passeggere o plagiare. Colpisce la notevolissima sensibilità, insieme con la capacità di esprimersi con estrema scioltezza, piena proprietà e ricchezza di linguaggio».
In effetti la parola pronta, pertinente e pronunciata senza il minimo impaccio, ha sorpreso anche noi. E alimenta qual-
che curiosità anche sul versante terapeutico che, nel caso di Cristina, non è mai stato supportato da alcuna tecnica di fisioterapia e logopedia. Come interpretare il fenomeno? Per la dottoressa Cecilia Orsenigo, neuropsichiatra infantile con una lunga esperienza nella cura dei bambini Down, in ogni situazione vale il «mai dire mai». Ci rivela: «Di recente un ragazzo Down s'è laureato in Economia aziendale alla Bocconi di Milano.
«È fondamentale dare fiducia a questi soggetti e fare in modo che loro stessi imparino a credere nelle loro possibilità». E quali sono oggi le tecniche per sviluppare il linguaggio, particolar-rnente problematico per i soggetti Down? «Chiedo sempre ai genitori di leggere ogni giorno ai bambini e di parlare con loro, fin da quando sono molto piccoli e può sembrare prematuro. Per trasmettere i suoni delle parole non è mai troppo presto».
Nella straordinaria storia di Cristina, non è un caso, i ricordi più lontani e decisivi si collegano proprio al conversare ininterrotto della madre con lei. «Fin dai primi mesi dì vita non facevo che parlarle», ci dice mamma Marilena. «Intuivo che quella era l'unica arma per stabilire con lei un rapporto e mi accorgevo che capiva. Le parlavo, lei mi sorrideva e reagiva come tutti i bambini. Pochi attorno a me credevano con lo stesso coraggio e la stessa grinta; mi criticavano per questo eccesso di aspettative. Dicevano che ero un'illusa». Ha avuto ragione lei. Cristina ha ancora tanti sogni da realizzare: nel suo cuore c'è sempre l'Africa, vorrebbe sfruttare il suo diploma di crocerossina, servire i poveri, aiutare chi soffre. E non dimentica la sua passione per il teatro di improvvisazione: col suo gruppo partecipa al meeting europeo di Playback Theatre a Longiano (Cesena). Intanto quel difetto genetico, un cromosoma di troppo che ha complicato la sua vita senza impedirle di conquistarne la segreta essenza, s'è trasformato in una risorsa da condividere con chi è sfidato dalla stessa prova. «Mi sento vicina a tanti bambini e ragazzi Down, so cosa vuoi dire. Sono pronta a sostenere il loro cammino e la loro speranza». Laura D'Incalci
Commenti (miei) al servizio: anche mamma Marilena ha avuto una bella foto a colori sul giornale per il suo momento di fama! :D
Bello il servizio solo un appunto... ma a voi non dà fastidio quando chiamano i nostri ragazzi soggetti? è tanto difficile definirli "persone"? a me da + fastidio questo che il termine "mongoloide" :roll: sarò mica un po' strana? :lol:
... ma a voi non dà fastidio quando chiamano i nostri ragazzi soggetti? è tanto difficile definirli "persone"? a me da + fastidio questo che il termine "mongoloide" :roll: sarò mica un po' strana? :lol:
Condivido il fastidio per la parola "soggetto"!
aledario
29-08-2006, 12:46
... ma a voi non dà fastidio quando chiamano i nostri ragazzi soggetti? è tanto difficile definirli "persone?
Se la parola "soggetto" ... viene letta in modo positivo ... che poi è il suo significato più vero, credo che sia interpretabile solo favorevolmente.
Pensate a cosa è il "soggetto" grammaticalmente parlando ;-) e cioè il "protagonista" di una realtà, ... colui che ... la persona che ... svolge quella determinata azione... e non l'"oggetto" che la subisce ;-).
E in un articolo sicuramente significativo e non superficiale come questo ... credo che il senso non possa altro che essere questo ... :-D
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