zioudino
13-09-2013, 10:32
Storia di un’amicizia con Silvia, la sua insegnante.
“Freddo”, “occhi spenti”, “bocca che sputa”. Diana Pocaterra, quando richiama alla mente i tempi in cui non parlava, si ricorda così delle persone intorno a lei. Oggi che ha ventitré anni e che il rapporto con la sua ex insegnante di sostegno Silvia Colizzi è diventato una vera amicizia nonostante i trent’anni di differenza, racconta di stare un po’ meglio. Diana è una ragazza con sindrome di Down e quando ha varcato le porte dell’Istituto d’arte per il mosaico Severini di Ravenna la sua posizione era chiusa, accovacciata. Diana non spiccicava parola, impaurita dall’ambiente ma forse di più dalla distanza degli altri, dal pregiudizio che sentiva addosso, dall’impossibilità di avere una voce per dare sfogo ai suoi problemi, al suo disagio. “Non mi danno il tempo”, dice ancora oggi riferendosi al fatto che gli altri vanno troppo di fretta, non si prendono un attimo per ascoltarla, per farla esprimere. Silvia, invece, nell’integrazione ci crede. Mamma di quattro figlie, insegnante di inglese e poi di sostegno, laureata anche in Pedagogia e con un percorso alle spalle all’Accademia di Belle Arti, con Diana ha messo a fattor comune tutto il suo sapere, la sua curiosità e la sua voglia di sperimentare: “Mi piacciono le sfide – racconta – e con Diana ho capito di poter andare lontano, di poter rompere il muro che c’era tra lei e il mondo circostante. Ho deciso di scardinare i metodi preconfezionati, per quanto validi, e di scegliere altre strade”.
Le strade dell’arte, in particolare. E del mosaico, non solo inteso come tessere musive ma come un insieme di piccole parti da far coesistere, integrare, includere: “Sono partita dai disegni di Diana per arrivare a spruzzare colore sui muri, a giocare con la musica, a comporre poesie. Insieme abbiamo scritto una favola, ‘La principessa Diana e il mosaico magico’, che le è servita a liberarla dai suoi blocchi. All’inizio Diana si nascondeva sotto il tavolo, fuggiva in bagno. E io la seguivo: piano piano è diventato un gioco, oggi ci ridiamo sopra. Ma è stato utile per sviluppare la parte comico-artistica”.
Diana se li ricorda i momenti di sconforto, i pianti. Ma oggi che è grande, oggi che parla e lavora al centro Arcobaleno, sa anche sdrammatizzarli. Sa che avere un obiettivo, un progetto, un sogno, è fondamentale: “Mi piacerebbe finire l’Accademia, dove ho frequentato i primi due anni”. Silvia sogna con lei di vedere la favola scritta a quattro mani trasformata in cartone animato, di fare un viaggio in Spagna per incontrare Emilio, un ragazzo venuto in Erasmus a Ravenna che si è preso subito a cuore Diana, visto che anche lui ha una sorella Down, Eva. Del resto cerca sempre, nel suo lavoro, di fare in modo che la disabilità diventi una risorsa, di fare in modo che gli altri sviluppino una sensibilità e ne traggano profitto.
Chissà quanti se ne sono accorti vedendo al teatro Rasi “L’albero di Diana”, esito di un progetto realizzato proprio all’Accademia. E che a Diana non è bastato per credersi autonoma: “Non mi piace quando mi trattano come una bambina, io sono grande, vorrei che gli altri se ne accorgessero”. Ma con gli adulti non è facile. Va meglio, forse, con i bambini: “Abbiamo collaborato con la scuola dell’infanzia Tito Valbusa di Classe e con la scuola primaria Camerani di Ravenna – spiega Silvia – realizzando insieme delle performance. Sono stati momenti di una ricchezza indescrivibile”.
Oggi che Silvia e Diana si sentono al cellulare e si lasciano i messaggi in segreteria, sanno che la strada fatta insieme è molta. Mentre si abbracciano nei corridoi del Liceo Artistico “Nervi-Severini” (le due scuole si sono infatti unificate) spicca la loro diversità, pur nell’uguaglianza. Lo sottolinea, con fermezza, anche Diana: “Siamo tutti diversi, non bisogna dimenticarlo mai”.
Fonte: http://www.romagnamamma.it/diana-la-ragazza-down-che-inizio-a-parlare-storia-di-unamicizia-con-silvia-la-sua-insegnante/
“Freddo”, “occhi spenti”, “bocca che sputa”. Diana Pocaterra, quando richiama alla mente i tempi in cui non parlava, si ricorda così delle persone intorno a lei. Oggi che ha ventitré anni e che il rapporto con la sua ex insegnante di sostegno Silvia Colizzi è diventato una vera amicizia nonostante i trent’anni di differenza, racconta di stare un po’ meglio. Diana è una ragazza con sindrome di Down e quando ha varcato le porte dell’Istituto d’arte per il mosaico Severini di Ravenna la sua posizione era chiusa, accovacciata. Diana non spiccicava parola, impaurita dall’ambiente ma forse di più dalla distanza degli altri, dal pregiudizio che sentiva addosso, dall’impossibilità di avere una voce per dare sfogo ai suoi problemi, al suo disagio. “Non mi danno il tempo”, dice ancora oggi riferendosi al fatto che gli altri vanno troppo di fretta, non si prendono un attimo per ascoltarla, per farla esprimere. Silvia, invece, nell’integrazione ci crede. Mamma di quattro figlie, insegnante di inglese e poi di sostegno, laureata anche in Pedagogia e con un percorso alle spalle all’Accademia di Belle Arti, con Diana ha messo a fattor comune tutto il suo sapere, la sua curiosità e la sua voglia di sperimentare: “Mi piacciono le sfide – racconta – e con Diana ho capito di poter andare lontano, di poter rompere il muro che c’era tra lei e il mondo circostante. Ho deciso di scardinare i metodi preconfezionati, per quanto validi, e di scegliere altre strade”.
Le strade dell’arte, in particolare. E del mosaico, non solo inteso come tessere musive ma come un insieme di piccole parti da far coesistere, integrare, includere: “Sono partita dai disegni di Diana per arrivare a spruzzare colore sui muri, a giocare con la musica, a comporre poesie. Insieme abbiamo scritto una favola, ‘La principessa Diana e il mosaico magico’, che le è servita a liberarla dai suoi blocchi. All’inizio Diana si nascondeva sotto il tavolo, fuggiva in bagno. E io la seguivo: piano piano è diventato un gioco, oggi ci ridiamo sopra. Ma è stato utile per sviluppare la parte comico-artistica”.
Diana se li ricorda i momenti di sconforto, i pianti. Ma oggi che è grande, oggi che parla e lavora al centro Arcobaleno, sa anche sdrammatizzarli. Sa che avere un obiettivo, un progetto, un sogno, è fondamentale: “Mi piacerebbe finire l’Accademia, dove ho frequentato i primi due anni”. Silvia sogna con lei di vedere la favola scritta a quattro mani trasformata in cartone animato, di fare un viaggio in Spagna per incontrare Emilio, un ragazzo venuto in Erasmus a Ravenna che si è preso subito a cuore Diana, visto che anche lui ha una sorella Down, Eva. Del resto cerca sempre, nel suo lavoro, di fare in modo che la disabilità diventi una risorsa, di fare in modo che gli altri sviluppino una sensibilità e ne traggano profitto.
Chissà quanti se ne sono accorti vedendo al teatro Rasi “L’albero di Diana”, esito di un progetto realizzato proprio all’Accademia. E che a Diana non è bastato per credersi autonoma: “Non mi piace quando mi trattano come una bambina, io sono grande, vorrei che gli altri se ne accorgessero”. Ma con gli adulti non è facile. Va meglio, forse, con i bambini: “Abbiamo collaborato con la scuola dell’infanzia Tito Valbusa di Classe e con la scuola primaria Camerani di Ravenna – spiega Silvia – realizzando insieme delle performance. Sono stati momenti di una ricchezza indescrivibile”.
Oggi che Silvia e Diana si sentono al cellulare e si lasciano i messaggi in segreteria, sanno che la strada fatta insieme è molta. Mentre si abbracciano nei corridoi del Liceo Artistico “Nervi-Severini” (le due scuole si sono infatti unificate) spicca la loro diversità, pur nell’uguaglianza. Lo sottolinea, con fermezza, anche Diana: “Siamo tutti diversi, non bisogna dimenticarlo mai”.
Fonte: http://www.romagnamamma.it/diana-la-ragazza-down-che-inizio-a-parlare-storia-di-unamicizia-con-silvia-la-sua-insegnante/