zioudino
18-07-2013, 10:37
Test di una scienziata
italo-americana: “Come ho scoperto un bersaglio terapeutico”
Il desiderio di ogni madre che porta in grembo un figlio è che sia sano. Fino a qualche decennio fa era necessario aspettare fino al termine della gravidanza per sapere se il nascituro era affetto da qualche malattia. Oggi è invece possibile individuare eventuali patologie ancor prima che il bambino venga alla luce. Purtroppo, però, nonostante la rivoluzione della diagnosi precoce, di cui si celebrano i 50 anni, non sempre è possibile intervenire sul feto. Una situazione di impotenza che un giorno, probabilmente, sarà cancellata e così malattie come la sindrome di Down potranno essere curate già a partire dai primi mesi di vita prenatale. Ed è proprio a questo progetto che sta lavorando una dottoressa statunitense, di chiare origini italiane, Diana Bianchi, direttrice del «Mother Infant Research Institute» della Tufts University School of Medicine di Medford. Il segreto: l’analisi del trascrittoma.
Ma per comprendere come in futuro potrà forse essere «curata» la sindrome di Down è necessario prima rileggere le profetiche parole di Jerome Lejeune, il genetista francese che, nel 1959, scoprì che la sindrome era causata dalla presenza di un cromosoma in più -il numero 21- rispetto al normale. Secondo Lejeune, «i geni sono simili a musicisti che leggono i loro spartiti». Se tutto va bene, tutti leggono alla stessa velocità e la sinfonia è perfetta. «Ma se c’è un musicista in più - prosegue -, come nel caso della trisomia 21, è come se quel musicista andasse troppo veloce. Non stravolge la musica, ma ne cambia il ritmo producendo una cacofonia». Ed è quello che, secondo Lejeune, succede nella sindrome di Down, dove le manifestazioni fisiche della malattia, soprattutto a livello neurologico, non sono altro che un eccesso di «musicisti che suonano la stessa musica a ritmi differenti».
Una geniale intuizione che all’epoca non poteva però essere verificata in modo dettagliato. Fino a pochi decenni fa, infatti, era possibile conoscere i geni coinvolti, ma era impossibile quantificare e stabilirne l’impatto nella malattia. In altre parole - come direbbe Lejeune - «il ritmo al quale suonano». Oggi, invece, con l’analisi del trascrittoma si aprono scenari terapeutici inimmaginabili. Ora è possibile analizzare l’Rna del feto, individuando come e quanto vengono espressi determinati geni e le loro interazioni. Ciò è possibile sia attraverso il prelievo di liquido amniotico sia con una semplice analisi del sangue materno.
Spiega Diana Bianchi: «Grazie all’analisi del trascrittoma del fluido amniotico siamo in grado di rilevare i cambiamenti molecolari nel feto a differenti stadi di sviluppo. Questo ci da modo di verificare i cambiamenti che intercorrono tra i bambini sani e quelli affetti da trisomia 21 e ci fornisce la straordinaria possibilità di individuare possibili bersagli terapeutici».
La scienziata italo-americana ha individuato che nei feti affetti da sindrome di Down c’è un eccessivo stress ossidativo già a partire dal secondo trimestre di gravidanza. Ovvero una iper-produzione di molecole tossiche capaci di danneggiare le strutture cellulari. E di conseguenza la strategia perseguita dalla scienziata è semplice: contrastarne la formazione. «L’idea - sottolinea - è tamponare l’effetto tossico dello stress ossidativo. A tale scopo stiamo testando in laboratorio gli effetti di alcune molecole antiossidanti sia su amniociti - le cellule fetali presenti nel liquido amniotico - sia in topi da esperimento affetti da una patologia comparabile alla sindrome di Down».
I risultati, presentati all’ultimo meeting della «Society for Gynecological Investigation» in Florida, lasciano ben sperare. «Anche se i dati sono preliminari abbiamo riscontrato un effetto positivo del trattamento sia negli amniociti sia nei topi. In particolare, somministrando alle madri dei topi molecole antiossidanti, abbiamo ottenuto nei figli dei miglioramenti a livello cognitivo-comportamentale». Risultati che ora dovranno essere confermati attraverso indagini su più ampia scala.
Ma il destino sembra tracciato e grazie all’analisi del trascrittoma non solo la sindrome di Down potrà essere affrontata. «Ad oggi - conclude Diana Bianchi - abbiamo rilevato anomalie nel trascrittoma anche nel caso della trisomia del cromosoma 18 e nella sindrome di Turner. Anomalie che possono rappresentare un possibile bersaglio terapeutico». E c’è da crederci, sperando che Jerome Lejeune abbia ancora ragione: «Troveremo un trattamento. E’ uno sforzo intellettuale meno difficile che mandare un uomo sulla Luna».
@danielebanfi83
Fonte: http://www.lastampa.it/2013/07/17/scienza/tuttoscienze/le-molecole-antiossidanti-per-battere-la-sindrome-di-down-Z2W78puEPCb9YLiyIs28gJ/pagina.html
italo-americana: “Come ho scoperto un bersaglio terapeutico”
Il desiderio di ogni madre che porta in grembo un figlio è che sia sano. Fino a qualche decennio fa era necessario aspettare fino al termine della gravidanza per sapere se il nascituro era affetto da qualche malattia. Oggi è invece possibile individuare eventuali patologie ancor prima che il bambino venga alla luce. Purtroppo, però, nonostante la rivoluzione della diagnosi precoce, di cui si celebrano i 50 anni, non sempre è possibile intervenire sul feto. Una situazione di impotenza che un giorno, probabilmente, sarà cancellata e così malattie come la sindrome di Down potranno essere curate già a partire dai primi mesi di vita prenatale. Ed è proprio a questo progetto che sta lavorando una dottoressa statunitense, di chiare origini italiane, Diana Bianchi, direttrice del «Mother Infant Research Institute» della Tufts University School of Medicine di Medford. Il segreto: l’analisi del trascrittoma.
Ma per comprendere come in futuro potrà forse essere «curata» la sindrome di Down è necessario prima rileggere le profetiche parole di Jerome Lejeune, il genetista francese che, nel 1959, scoprì che la sindrome era causata dalla presenza di un cromosoma in più -il numero 21- rispetto al normale. Secondo Lejeune, «i geni sono simili a musicisti che leggono i loro spartiti». Se tutto va bene, tutti leggono alla stessa velocità e la sinfonia è perfetta. «Ma se c’è un musicista in più - prosegue -, come nel caso della trisomia 21, è come se quel musicista andasse troppo veloce. Non stravolge la musica, ma ne cambia il ritmo producendo una cacofonia». Ed è quello che, secondo Lejeune, succede nella sindrome di Down, dove le manifestazioni fisiche della malattia, soprattutto a livello neurologico, non sono altro che un eccesso di «musicisti che suonano la stessa musica a ritmi differenti».
Una geniale intuizione che all’epoca non poteva però essere verificata in modo dettagliato. Fino a pochi decenni fa, infatti, era possibile conoscere i geni coinvolti, ma era impossibile quantificare e stabilirne l’impatto nella malattia. In altre parole - come direbbe Lejeune - «il ritmo al quale suonano». Oggi, invece, con l’analisi del trascrittoma si aprono scenari terapeutici inimmaginabili. Ora è possibile analizzare l’Rna del feto, individuando come e quanto vengono espressi determinati geni e le loro interazioni. Ciò è possibile sia attraverso il prelievo di liquido amniotico sia con una semplice analisi del sangue materno.
Spiega Diana Bianchi: «Grazie all’analisi del trascrittoma del fluido amniotico siamo in grado di rilevare i cambiamenti molecolari nel feto a differenti stadi di sviluppo. Questo ci da modo di verificare i cambiamenti che intercorrono tra i bambini sani e quelli affetti da trisomia 21 e ci fornisce la straordinaria possibilità di individuare possibili bersagli terapeutici».
La scienziata italo-americana ha individuato che nei feti affetti da sindrome di Down c’è un eccessivo stress ossidativo già a partire dal secondo trimestre di gravidanza. Ovvero una iper-produzione di molecole tossiche capaci di danneggiare le strutture cellulari. E di conseguenza la strategia perseguita dalla scienziata è semplice: contrastarne la formazione. «L’idea - sottolinea - è tamponare l’effetto tossico dello stress ossidativo. A tale scopo stiamo testando in laboratorio gli effetti di alcune molecole antiossidanti sia su amniociti - le cellule fetali presenti nel liquido amniotico - sia in topi da esperimento affetti da una patologia comparabile alla sindrome di Down».
I risultati, presentati all’ultimo meeting della «Society for Gynecological Investigation» in Florida, lasciano ben sperare. «Anche se i dati sono preliminari abbiamo riscontrato un effetto positivo del trattamento sia negli amniociti sia nei topi. In particolare, somministrando alle madri dei topi molecole antiossidanti, abbiamo ottenuto nei figli dei miglioramenti a livello cognitivo-comportamentale». Risultati che ora dovranno essere confermati attraverso indagini su più ampia scala.
Ma il destino sembra tracciato e grazie all’analisi del trascrittoma non solo la sindrome di Down potrà essere affrontata. «Ad oggi - conclude Diana Bianchi - abbiamo rilevato anomalie nel trascrittoma anche nel caso della trisomia del cromosoma 18 e nella sindrome di Turner. Anomalie che possono rappresentare un possibile bersaglio terapeutico». E c’è da crederci, sperando che Jerome Lejeune abbia ancora ragione: «Troveremo un trattamento. E’ uno sforzo intellettuale meno difficile che mandare un uomo sulla Luna».
@danielebanfi83
Fonte: http://www.lastampa.it/2013/07/17/scienza/tuttoscienze/le-molecole-antiossidanti-per-battere-la-sindrome-di-down-Z2W78puEPCb9YLiyIs28gJ/pagina.html