zioudino
05-11-2012, 17:48
L'articolo, scritto da Stefano Bruni (pediatra e come si legge nel suo profilo "responsabile scientifico per l’Italia di un gruppo internazionale che fa ricerca nel campo della terapia per malattie genetiche rare") analizza e commenta i risultati di un'interessante sondaggio effettuato negli Stati Uniti tra persone con sdD e loro famigliari.
Come molti di voi sanno, dall’Agosto scorso è in commercio in alcuni Paesi Europei ed extraeuropei un test per la diagnosi prenatale non invasiva della Trisomia 21, malattia genetica meglio nota come Sindrome di Down . Il test, che permetterebbe la diagnosi alla 12a settimana di gestazione ed eviterebbe alla donna, che ne facesse richiesta o che vi fosse candidata secondo gli attuali protocolli diagnostici, di ricorrere all’amniocentesi o ad altri test diagnostici invasivi, ha evidentemente come fine ultimo quello di dare alla donna la possibilità di interrompere la gravidanza nel caso scopra di aver concepito un figlio affetto da questa malattia cromosomica.
È chiaro che tutto parte dal presupposto che un bambino affetto da una malattia genetica non è degno di venire al mondo perché esso stesso sarebbe infelice di nascere e soffrire per tutta la vita e perché determinerebbe sofferenza ai suoi genitori, ai suoi fratelli ed a tutte le persone che lo circondano e si dovranno occupare di lui. In questa direzione sembra andare anche la giurisprudenza italiana dal momento che è di non molti giorni fa un suo pronunciamento secondo cui se un bambino nasce con la Sindrome di Down devono essere risarciti sia lui che i suoi genitori per i danni che questa nascita causa a tutto il nucleo famigliare.
Qualcuno, anche in questo sito, nel corso di una discussione di qualche tempo fa, ha accusato pesantemente di essere responsabile di un crimine che dovrebbe essere giudicato dalla Corte di Strasburgo chi pretendesse anche solo di tentare di opporsi (ovviamente intendo con la forza della ragione e dei sentimenti e non certo con atti coercitivi e violenti) al diritto di una donna di abortire un figlio malato o indesiderato. Ma qualcuno ha mai chiesto alle persone affette da Sindrome di Down (quelle che sono scampate all’aborto, ovviamente) se siano davvero così infelici di essere venute al mondo e ai loro parenti se vivere con queste persone sia davvero così impossibile e straziante?
Ebbene, qualche tempo fa, l’American Journal of Medical Genetics, una prestigiosissima rivista scientifica internazionale peer reviewed, aconfessionale e a ottimo impact factor, ha pubblicato due successivi studi di un gruppo di ricercatori della divisione di Genetica del Dipartimento di Medicina di uno degli ospedali pediatrici più importanti del mondo, il Children’s Hospital di Boston, e del Dipartimento di Oncologia psicosociale dello stesso ospedale.
Il primo lavoro, pubblicato nel Luglio del 2011, riferisce di una ricerca condotta per indagare la percezione di se stessi che hanno le persone affette da Sindrome di Down. Il secondo, degli stessi autori, pubblicato nell’Ottobre 2011, è relativo ad un’indagine condotta su fratelli e sorelle di persone affette da Sindrome di Down per indagare come questi parenti percepiscono i propri congiunti affetti. I risultati delle due indagini sono straordinari e credo valga la pena riportarveli perché non possono non fare riflettere.
Specifici questionari preparati dai ricercatori sono stati inviati a tutte le persone affette dalla sindrome di Down di età superiore ai 12 anni ed a tutti i fratelli e sorelle delle persone Down iscritte negli elenchi delle 6 organizzazioni no profit statunitensi per il supporto alle famiglie e alle persone con Trisomia 21 (negli Stati Uniti non esiste un’unica organizzazione che raccoglie tutte le famiglie di persone Down né un registro nazionale che le elenchi tutte). Hanno risposto al questionario il 17% delle persone Down intervistate ed il 19% dei famigliari (percentuali in linea con gli standard di questo tipo di ricerche). Di seguito vi riassumo i principali risultati:
circa il 99% delle persone Down che hanno risposto indicano di avere una vita felice; il 97% ama ciò che è ed il 96% si piace così com’è; solo il 4% riferisce di essere triste per la propria vita;
il 99% delle persone Down ama la propria famiglia ed il 97% i propri fratelli e sorelle; l’86% ritiene sia stato facile farsi degli amici e l’85% ritiene di poter essere utile agli altri;
la stragrande maggioranza delle persone Down intervistate, nelle risposte aperte ha incoraggiato i genitori ad amare i propri figli con Sindrome di Down riferendo di essere felici di vivere;
per quanto riguarda i fratelli e le sorelle delle persone Down intervistati nel secondo studio, il 96% è molto affezionata ai propri parenti affetti ed il 94% ha espresso sentimenti di orgoglio nei loro confronti;
meno del 10% riferisce di sentirsi imbarazzato a causa della patologia del fratello/sorella e meno del 5% sostiene che cambierebbe il proprio fratello/sorella con uno senza la malattia;
tra gli intervistati meno giovani l’88% ritiene di essere una persona migliore grazie alla presenza nella sua famiglia di un individuo con Trisomia 21 e oltre il 90% del campione dichiara che intende continuare a prendersi cura dei propri fratelli/sorelle Down; la stragrande maggioranza degli intervistati, nelle risposte aperte, definisce la relazione con i propri parenti affetti come positive e arricchenti.
Gli autori individuano onestamente alcuni punti di debolezza dello studio indicando ad esempio che il loro campione, seppur statisticamente significativo, è comunque solo un campione e che il fatto di fare riferimento ad associazioni no-profit potrebbe indicare la selezione di un gruppo di famiglie positivamente predisposte nei confronti di questa patologia. Se volete aggiungo anche io un elemento di debolezza: l’indagine infatti è stata necessariamente fatta su persone viventi e dunque sopravvissute alla tentazione di un aborto il che significa, in altri termini, che i loro genitori sono persone aperte alla vita e che questo sentimento avranno continuato a ravvivare (ed avranno trasmesso agli altri famigliari) anche dopo la nascita dei loro bambini malati. Purtroppo non potremo mai ascoltare la voce dei bambini Down che non sono mai nati e che non potranno dirci se sarebbero stati felici di nascere e se a loro è andato bene essere soppressi nell’utero delle loro mamme.
C’è chi dirà che questi genitori sono dei “mostri” perché hanno messo al mondo persone con più di una problematica anche seria (che tra parentesi oggigiorno può essere approcciata con ottimi risultati dalla moderna medicina e dalla moderna psicologia). Io non sono d’accordo con costoro e mi sento perfettamente in linea invece con le conclusioni degli autori dei due studi proposti, quando sostengono che sia auspicabile che i risultati di queste indagini siano condivisi con le coppie cui viene fatta diagnosi prenatale di Sindrome di Down, insieme a tutte le altre informazioni utili a permettere una loro scelta sul destino dei propri figli.
Certamente nessuna persona assennata desidera un figlio malato e nessuno potrà mai negare le sofferenze psicologiche e le difficoltà pratiche quotidiane cui vanno incontro i famigliari delle persone che nascono con una malattia genetica. Ma i dati indicati dalle ricerche sopra citate sono lì a dirci che c’è molto di più rispetto a sofferenze e difficoltà: ci sono la voglia di vivere e di amare e, sopra tutto, c’è la dignità della persona, anche quella malata. E questa voglia di vivere e di amare la persona umana possono fare miracoli.
Fonte http://www.uccronline.it/2012/11/04/sindrome-di-down-sono-davvero-vite-inutili-sprecate-dannose/
Come molti di voi sanno, dall’Agosto scorso è in commercio in alcuni Paesi Europei ed extraeuropei un test per la diagnosi prenatale non invasiva della Trisomia 21, malattia genetica meglio nota come Sindrome di Down . Il test, che permetterebbe la diagnosi alla 12a settimana di gestazione ed eviterebbe alla donna, che ne facesse richiesta o che vi fosse candidata secondo gli attuali protocolli diagnostici, di ricorrere all’amniocentesi o ad altri test diagnostici invasivi, ha evidentemente come fine ultimo quello di dare alla donna la possibilità di interrompere la gravidanza nel caso scopra di aver concepito un figlio affetto da questa malattia cromosomica.
È chiaro che tutto parte dal presupposto che un bambino affetto da una malattia genetica non è degno di venire al mondo perché esso stesso sarebbe infelice di nascere e soffrire per tutta la vita e perché determinerebbe sofferenza ai suoi genitori, ai suoi fratelli ed a tutte le persone che lo circondano e si dovranno occupare di lui. In questa direzione sembra andare anche la giurisprudenza italiana dal momento che è di non molti giorni fa un suo pronunciamento secondo cui se un bambino nasce con la Sindrome di Down devono essere risarciti sia lui che i suoi genitori per i danni che questa nascita causa a tutto il nucleo famigliare.
Qualcuno, anche in questo sito, nel corso di una discussione di qualche tempo fa, ha accusato pesantemente di essere responsabile di un crimine che dovrebbe essere giudicato dalla Corte di Strasburgo chi pretendesse anche solo di tentare di opporsi (ovviamente intendo con la forza della ragione e dei sentimenti e non certo con atti coercitivi e violenti) al diritto di una donna di abortire un figlio malato o indesiderato. Ma qualcuno ha mai chiesto alle persone affette da Sindrome di Down (quelle che sono scampate all’aborto, ovviamente) se siano davvero così infelici di essere venute al mondo e ai loro parenti se vivere con queste persone sia davvero così impossibile e straziante?
Ebbene, qualche tempo fa, l’American Journal of Medical Genetics, una prestigiosissima rivista scientifica internazionale peer reviewed, aconfessionale e a ottimo impact factor, ha pubblicato due successivi studi di un gruppo di ricercatori della divisione di Genetica del Dipartimento di Medicina di uno degli ospedali pediatrici più importanti del mondo, il Children’s Hospital di Boston, e del Dipartimento di Oncologia psicosociale dello stesso ospedale.
Il primo lavoro, pubblicato nel Luglio del 2011, riferisce di una ricerca condotta per indagare la percezione di se stessi che hanno le persone affette da Sindrome di Down. Il secondo, degli stessi autori, pubblicato nell’Ottobre 2011, è relativo ad un’indagine condotta su fratelli e sorelle di persone affette da Sindrome di Down per indagare come questi parenti percepiscono i propri congiunti affetti. I risultati delle due indagini sono straordinari e credo valga la pena riportarveli perché non possono non fare riflettere.
Specifici questionari preparati dai ricercatori sono stati inviati a tutte le persone affette dalla sindrome di Down di età superiore ai 12 anni ed a tutti i fratelli e sorelle delle persone Down iscritte negli elenchi delle 6 organizzazioni no profit statunitensi per il supporto alle famiglie e alle persone con Trisomia 21 (negli Stati Uniti non esiste un’unica organizzazione che raccoglie tutte le famiglie di persone Down né un registro nazionale che le elenchi tutte). Hanno risposto al questionario il 17% delle persone Down intervistate ed il 19% dei famigliari (percentuali in linea con gli standard di questo tipo di ricerche). Di seguito vi riassumo i principali risultati:
circa il 99% delle persone Down che hanno risposto indicano di avere una vita felice; il 97% ama ciò che è ed il 96% si piace così com’è; solo il 4% riferisce di essere triste per la propria vita;
il 99% delle persone Down ama la propria famiglia ed il 97% i propri fratelli e sorelle; l’86% ritiene sia stato facile farsi degli amici e l’85% ritiene di poter essere utile agli altri;
la stragrande maggioranza delle persone Down intervistate, nelle risposte aperte ha incoraggiato i genitori ad amare i propri figli con Sindrome di Down riferendo di essere felici di vivere;
per quanto riguarda i fratelli e le sorelle delle persone Down intervistati nel secondo studio, il 96% è molto affezionata ai propri parenti affetti ed il 94% ha espresso sentimenti di orgoglio nei loro confronti;
meno del 10% riferisce di sentirsi imbarazzato a causa della patologia del fratello/sorella e meno del 5% sostiene che cambierebbe il proprio fratello/sorella con uno senza la malattia;
tra gli intervistati meno giovani l’88% ritiene di essere una persona migliore grazie alla presenza nella sua famiglia di un individuo con Trisomia 21 e oltre il 90% del campione dichiara che intende continuare a prendersi cura dei propri fratelli/sorelle Down; la stragrande maggioranza degli intervistati, nelle risposte aperte, definisce la relazione con i propri parenti affetti come positive e arricchenti.
Gli autori individuano onestamente alcuni punti di debolezza dello studio indicando ad esempio che il loro campione, seppur statisticamente significativo, è comunque solo un campione e che il fatto di fare riferimento ad associazioni no-profit potrebbe indicare la selezione di un gruppo di famiglie positivamente predisposte nei confronti di questa patologia. Se volete aggiungo anche io un elemento di debolezza: l’indagine infatti è stata necessariamente fatta su persone viventi e dunque sopravvissute alla tentazione di un aborto il che significa, in altri termini, che i loro genitori sono persone aperte alla vita e che questo sentimento avranno continuato a ravvivare (ed avranno trasmesso agli altri famigliari) anche dopo la nascita dei loro bambini malati. Purtroppo non potremo mai ascoltare la voce dei bambini Down che non sono mai nati e che non potranno dirci se sarebbero stati felici di nascere e se a loro è andato bene essere soppressi nell’utero delle loro mamme.
C’è chi dirà che questi genitori sono dei “mostri” perché hanno messo al mondo persone con più di una problematica anche seria (che tra parentesi oggigiorno può essere approcciata con ottimi risultati dalla moderna medicina e dalla moderna psicologia). Io non sono d’accordo con costoro e mi sento perfettamente in linea invece con le conclusioni degli autori dei due studi proposti, quando sostengono che sia auspicabile che i risultati di queste indagini siano condivisi con le coppie cui viene fatta diagnosi prenatale di Sindrome di Down, insieme a tutte le altre informazioni utili a permettere una loro scelta sul destino dei propri figli.
Certamente nessuna persona assennata desidera un figlio malato e nessuno potrà mai negare le sofferenze psicologiche e le difficoltà pratiche quotidiane cui vanno incontro i famigliari delle persone che nascono con una malattia genetica. Ma i dati indicati dalle ricerche sopra citate sono lì a dirci che c’è molto di più rispetto a sofferenze e difficoltà: ci sono la voglia di vivere e di amare e, sopra tutto, c’è la dignità della persona, anche quella malata. E questa voglia di vivere e di amare la persona umana possono fare miracoli.
Fonte http://www.uccronline.it/2012/11/04/sindrome-di-down-sono-davvero-vite-inutili-sprecate-dannose/