Anna
27-07-2011, 15:09
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Forlì, 27 luglio 2011 - «SE SEI UN BIMBO down non puoi avere gli stessi diritti al Puntadiferro». Francesca Sassi, 40enne forlivese, affida alla sua bacheca Facebook il proprio sgomento per l’episodio che ha visto protagonista lei e sua figlia, una bimba di 9 anni e mezzo affetta da sindrome di down, all’interno del nuovo centro commerciale.
Francesca, ci spieghi. Cosa è successo sabato?
«Mi sono recata con le mie figlie al centro commerciale Puntadiferro. Come ogni buon centro, esiste un’area sorvegliata dove, sotto compenso, si possono lasciare in custodia i propri figli».
Quanti anni hanno le sue figlie?
«Ne ho tre. Una di 15, che era venuta con me a fare un giro per negozi, e due di 9 e 5 anni che non vedevano l’ora di passare un po’ di tempo nell’area giochi con gli altri bambini».
Ma?
«Ma la piccola di 9 anni ha la sindrome di down».
E allora?
«Inizialmente l’hanno accolta senza nessun problema, insieme alla sorellina. Ho rilasciato una delibera firmata dove mi prendevo ogni responsabilità per danni e infortuni e sono andata a fare un giro con la più grande delle mie figlie».
Fino a quando non le è squillato il cellulare.
«Dopo un quarto d’ora circa le educatrici dell’area bimbi mi hanno chiamata e mi hanno chiesto di tornare lì».
C’era stato qualche problema con le sue bambine?
«Non mi risulta, le mie figlie stavano bene. Ma mi è stato detto che poiché la bimba di 9 anni è affetta da sindrome di down era necessaria la mia presenza».
Non bastava quella delle educatrici?
«Evidentemente no. So solo che mi hanno mostrato nuovamente la delibera che avevo firmato per farmi notare cosa c’era scritto».
E cioè?
«Che i bambini affetti da patologie o malattie devono essere accompagnati all’interno dell’area bimbi da un genitore o altro accompagnatore che se ne assume la piena responsabilità».
E sua figlia rientrava in questa categoria?
«Così mi hanno detto. Mia figlia, però, è una bimba sana. La neuropsichiatra ha stabilito che ha un ritardo di crescita di 6 anni. Ma non ha problemi di salute ed è una bimba molto socievole».
Secondo lei poteva aver dato problemi? Magari ha soltanto fatto qualche capriccio?
«Non mi risulta. Mi hanno fatto intendere che non poteva restare a causa della sua ‘patologia’, spiegandomi che lo stesso vale, ad esempio, anche per i bambini asmatici. C’è solo un problema».
Quale?
«Non credo che alle altre mamme chiedano di esibire un certificato medico per i loro figli. La differenza sta nel fatto che la sindrome di down è visibile a occhio nudo».
A quel punto cosa ha fatto?
«Ho portato via le bambine».
Entrambe?
«Entrambe. Proprio perché la più grande non si sentisse discriminata rispetto alla sorellina».
Si sono rese conto di quanto stava accadendo?
«Sì, non hanno fatto storie e sono venute via con me. Ma è stato spiacevole per loro».
E’ amareggiata per quanto accaduto?
«Credo che non poter usufruire di quel servizio sia discriminante per me e per mia figlia. Ci siamo sentite diverse dagli altri. Capisco che ci sia un regolamento, ma secondo me non è giusto. Non sono un’incosciente: se mia figlia ha bisogno di me, sono la prima a decidere di stare con lei».
Ma lei ritiene che, in quella particolare occasione, non ci fosse bisogno, giusto?
«La bambina deve iniziare a sentirsi ‘autonoma’. Pensi che anche a scuola io posso decidere o meno per il sostegno».
Attualmente la bimba è seguita da un’insegnante di sostegno?
«Sì, ma in qualunque momento potrei chiedere alla scuola di farne a meno. Sa, un tempo i bimbi down restavano chiusi in casa ma così facendo, c’era una regressione. Mentre farli sentire come gli altri bambini accresce il loro sviluppo cognitivo».
Ha intenzione di ricorrere alle vie legali per quanto accaduto?
«Mi rivolgerò a un avvocato sì, ma non voglio attaccare nessuno. Innanzitutto non credo che la responsabilità sia delle educatrici, ma di chi ha in carico il servizio».
Cosa spera di ottenere dunque?
«Vorrei semplicemente far conoscere questa situazione. Non voglio piangermi addosso perché mia figlia è un dono. Però vorrei che quel regolamento cambiasse. Per me, per mia figlia e per le mamme che si trovano nelle mie stesse condizioni. Ho già ricevuto numerosi messaggi di solidarietà».
Su Facebook?
«Non solo. Mi ha contattata l’associazione Bimbi down di Cesena. Mi hanno offerto il loro supporto».
di SERENA D’URBANO
Forlì, 27 luglio 2011 - «SE SEI UN BIMBO down non puoi avere gli stessi diritti al Puntadiferro». Francesca Sassi, 40enne forlivese, affida alla sua bacheca Facebook il proprio sgomento per l’episodio che ha visto protagonista lei e sua figlia, una bimba di 9 anni e mezzo affetta da sindrome di down, all’interno del nuovo centro commerciale.
Francesca, ci spieghi. Cosa è successo sabato?
«Mi sono recata con le mie figlie al centro commerciale Puntadiferro. Come ogni buon centro, esiste un’area sorvegliata dove, sotto compenso, si possono lasciare in custodia i propri figli».
Quanti anni hanno le sue figlie?
«Ne ho tre. Una di 15, che era venuta con me a fare un giro per negozi, e due di 9 e 5 anni che non vedevano l’ora di passare un po’ di tempo nell’area giochi con gli altri bambini».
Ma?
«Ma la piccola di 9 anni ha la sindrome di down».
E allora?
«Inizialmente l’hanno accolta senza nessun problema, insieme alla sorellina. Ho rilasciato una delibera firmata dove mi prendevo ogni responsabilità per danni e infortuni e sono andata a fare un giro con la più grande delle mie figlie».
Fino a quando non le è squillato il cellulare.
«Dopo un quarto d’ora circa le educatrici dell’area bimbi mi hanno chiamata e mi hanno chiesto di tornare lì».
C’era stato qualche problema con le sue bambine?
«Non mi risulta, le mie figlie stavano bene. Ma mi è stato detto che poiché la bimba di 9 anni è affetta da sindrome di down era necessaria la mia presenza».
Non bastava quella delle educatrici?
«Evidentemente no. So solo che mi hanno mostrato nuovamente la delibera che avevo firmato per farmi notare cosa c’era scritto».
E cioè?
«Che i bambini affetti da patologie o malattie devono essere accompagnati all’interno dell’area bimbi da un genitore o altro accompagnatore che se ne assume la piena responsabilità».
E sua figlia rientrava in questa categoria?
«Così mi hanno detto. Mia figlia, però, è una bimba sana. La neuropsichiatra ha stabilito che ha un ritardo di crescita di 6 anni. Ma non ha problemi di salute ed è una bimba molto socievole».
Secondo lei poteva aver dato problemi? Magari ha soltanto fatto qualche capriccio?
«Non mi risulta. Mi hanno fatto intendere che non poteva restare a causa della sua ‘patologia’, spiegandomi che lo stesso vale, ad esempio, anche per i bambini asmatici. C’è solo un problema».
Quale?
«Non credo che alle altre mamme chiedano di esibire un certificato medico per i loro figli. La differenza sta nel fatto che la sindrome di down è visibile a occhio nudo».
A quel punto cosa ha fatto?
«Ho portato via le bambine».
Entrambe?
«Entrambe. Proprio perché la più grande non si sentisse discriminata rispetto alla sorellina».
Si sono rese conto di quanto stava accadendo?
«Sì, non hanno fatto storie e sono venute via con me. Ma è stato spiacevole per loro».
E’ amareggiata per quanto accaduto?
«Credo che non poter usufruire di quel servizio sia discriminante per me e per mia figlia. Ci siamo sentite diverse dagli altri. Capisco che ci sia un regolamento, ma secondo me non è giusto. Non sono un’incosciente: se mia figlia ha bisogno di me, sono la prima a decidere di stare con lei».
Ma lei ritiene che, in quella particolare occasione, non ci fosse bisogno, giusto?
«La bambina deve iniziare a sentirsi ‘autonoma’. Pensi che anche a scuola io posso decidere o meno per il sostegno».
Attualmente la bimba è seguita da un’insegnante di sostegno?
«Sì, ma in qualunque momento potrei chiedere alla scuola di farne a meno. Sa, un tempo i bimbi down restavano chiusi in casa ma così facendo, c’era una regressione. Mentre farli sentire come gli altri bambini accresce il loro sviluppo cognitivo».
Ha intenzione di ricorrere alle vie legali per quanto accaduto?
«Mi rivolgerò a un avvocato sì, ma non voglio attaccare nessuno. Innanzitutto non credo che la responsabilità sia delle educatrici, ma di chi ha in carico il servizio».
Cosa spera di ottenere dunque?
«Vorrei semplicemente far conoscere questa situazione. Non voglio piangermi addosso perché mia figlia è un dono. Però vorrei che quel regolamento cambiasse. Per me, per mia figlia e per le mamme che si trovano nelle mie stesse condizioni. Ho già ricevuto numerosi messaggi di solidarietà».
Su Facebook?
«Non solo. Mi ha contattata l’associazione Bimbi down di Cesena. Mi hanno offerto il loro supporto».
di SERENA D’URBANO