MARTY
12-10-2009, 18:21
Il tribunale: “E' Down, ma può sposarsi e scegliere le terapie”
Lo ha stabilito un decreto del Tribunale di Varese respingendo le richieste di una madre che chiedeva la sua intermediazione sul matrimonio e sulle scelte terapeutiche della figlia. Per il giudice “equivarrebbe a strappare la Carta costituzionale”
ROMA - La persona con sindrome di Down ha il diritto di sposarsi e assumere scelte in ordine al trattamento sanitario, "perché tale situazione congenita non priva il soggetto trisomico della capacità di orientarsi nelle scelte di vita, di emozionarsi, di scegliere per il proprio bene, di capire e comprendere e, se del caso, affezionarsi o, addirittura, innamorarsi". È quanto ha stabilito il Tribunale di Varese pronunciandosi il 6 ottobre scorso in merito alle richieste di una madre di una persona Down, che chiedeva di essere nominata amministratrice di sostegno per poter avere cura dei suoi interessi patrimoniali e personali, includendo tra questi anche l'intermediazione nel caso di matrimonio e per trattamenti sanitari. Nel decreto, il giudice ha riconosciuto la necessità di un amministratore di sostegno in merito alle scelte riguardanti gli interessi patrimoniali, come operazioni bancarie, curare i rapporti con gli uffici pubblici, stipulare contratti e altro ancora, ma ha respinto le richieste in merito al matrimonio e all'autodeterminazione terapeutica.
Sabrina (il nome è di fantasia) potrà sposarsi, quindi, e come si legge nel testo depositato, è quanto ha detto lei stessa al giudice Giuseppe Buffone con "serena determinazione": "Io mi sposo col mio fidanzato". Per il Tribunale, infatti, decretare la necessità del consenso di un amministratore in tale situazione, "equivarrebbe a strappare la Carta costituzionale in quel nocciolo duro in cui è invulnerabile". Ma non solo. Il ‘divieto di nozze implicito', la cui scelta discenderebbe dall'amministratore, viola anche l'articolo 23 della Convenzione di New York del 2006, ratificata dall'Italia con la legge 18 del marzo 2009, secondo cui "gli Stati Parti adottano misure efficaci ed adeguate ad eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità in tutto ciò che attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali, su base di uguaglianza con gli altri, in modo da garantire che sia riconosciuto il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti". Infine anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea dove si riconosce al disabile il diritto a scegliere "con chi vivere" al fine di avere una "vita indipendente".
Secondo quanto ribadisce il decreto, infatti, "il portatore della sindrome di Down, per il mondo del diritto, non è un ‘malato' ma una persona diversamente abile: ed, allora, è persona che non va trattata come soggetto da curare ma come soggetto da aiutare, ove la diversità si frapponga al completo e sano fruire dei diritti che l'ordinamento riconosce". Stesse considerazioni per quanto riguarda quelle scelte in ambito sanitario. Secondo il giudice, "l'amministratore è autorizzato alla cura del beneficiario nel perseguimento del suo best interest, con ciò anche potendo assumere scelte in ordine al trattamento sanitario, ma purché questo non sia imposto all'incapace ovvero realizzato in contrasto con le sue, pur flebili ma efficaci, scelte di autodeterminazione terapeutica". (ga)
(11 ottobre 2009)
da www.superabile.it
Lo ha stabilito un decreto del Tribunale di Varese respingendo le richieste di una madre che chiedeva la sua intermediazione sul matrimonio e sulle scelte terapeutiche della figlia. Per il giudice “equivarrebbe a strappare la Carta costituzionale”
ROMA - La persona con sindrome di Down ha il diritto di sposarsi e assumere scelte in ordine al trattamento sanitario, "perché tale situazione congenita non priva il soggetto trisomico della capacità di orientarsi nelle scelte di vita, di emozionarsi, di scegliere per il proprio bene, di capire e comprendere e, se del caso, affezionarsi o, addirittura, innamorarsi". È quanto ha stabilito il Tribunale di Varese pronunciandosi il 6 ottobre scorso in merito alle richieste di una madre di una persona Down, che chiedeva di essere nominata amministratrice di sostegno per poter avere cura dei suoi interessi patrimoniali e personali, includendo tra questi anche l'intermediazione nel caso di matrimonio e per trattamenti sanitari. Nel decreto, il giudice ha riconosciuto la necessità di un amministratore di sostegno in merito alle scelte riguardanti gli interessi patrimoniali, come operazioni bancarie, curare i rapporti con gli uffici pubblici, stipulare contratti e altro ancora, ma ha respinto le richieste in merito al matrimonio e all'autodeterminazione terapeutica.
Sabrina (il nome è di fantasia) potrà sposarsi, quindi, e come si legge nel testo depositato, è quanto ha detto lei stessa al giudice Giuseppe Buffone con "serena determinazione": "Io mi sposo col mio fidanzato". Per il Tribunale, infatti, decretare la necessità del consenso di un amministratore in tale situazione, "equivarrebbe a strappare la Carta costituzionale in quel nocciolo duro in cui è invulnerabile". Ma non solo. Il ‘divieto di nozze implicito', la cui scelta discenderebbe dall'amministratore, viola anche l'articolo 23 della Convenzione di New York del 2006, ratificata dall'Italia con la legge 18 del marzo 2009, secondo cui "gli Stati Parti adottano misure efficaci ed adeguate ad eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità in tutto ciò che attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali, su base di uguaglianza con gli altri, in modo da garantire che sia riconosciuto il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti". Infine anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea dove si riconosce al disabile il diritto a scegliere "con chi vivere" al fine di avere una "vita indipendente".
Secondo quanto ribadisce il decreto, infatti, "il portatore della sindrome di Down, per il mondo del diritto, non è un ‘malato' ma una persona diversamente abile: ed, allora, è persona che non va trattata come soggetto da curare ma come soggetto da aiutare, ove la diversità si frapponga al completo e sano fruire dei diritti che l'ordinamento riconosce". Stesse considerazioni per quanto riguarda quelle scelte in ambito sanitario. Secondo il giudice, "l'amministratore è autorizzato alla cura del beneficiario nel perseguimento del suo best interest, con ciò anche potendo assumere scelte in ordine al trattamento sanitario, ma purché questo non sia imposto all'incapace ovvero realizzato in contrasto con le sue, pur flebili ma efficaci, scelte di autodeterminazione terapeutica". (ga)
(11 ottobre 2009)
da www.superabile.it