elsy63
17-06-2009, 20:47
Famiglia Cristiana del 16-06-2009
INCHIESTA. Diversamente abili. Figli di un lavoro minore
La legge di dieci anni fa impone alle aziende di assumere una "quota" di lavoratori disabili, ma questo non avviene. Ecco perché. E come si può rimediare.
È l’ultimo effetto della crisi economica. Ma nessuno ne parla. Dopotutto, loro sono già tra chi sta in fondo alla fila, lavoratori "zavorra" più degli altri, secondo la denuncia recente del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Loro sono i lavoratori disabili, quelli per i quali dieci anni fa una legge dello Stato ha previsto una quota di posti lavoro "protetti" e l’obbligatorietà di assunzione per le aziende.
Ebbene, oggi la crisi e la possibilità per le aziende di accedere alla cassa integrazione, alla mobilità, alle procedure di riduzione dell’orario di lavoro sospendono l’obbligo di assunzione per chi non è abile come gli altri. È l’ultimo premio agli imprenditori e l’ultimo danno ai disabili, che si consuma nel silenzio. Aggrava una situazione già precaria, perché quella legge del 1999 non ha mantenuto le sue promesse, tra controlli poco incisivi e tantissime possibilità pratiche di aggirarla. Invece, per la maggior parte dei disabili il lavoro è vita, argine e trincea contro la depressione, e non semplicemente uno stipendio alla fine del mese.
La legge prevede che in un’azienda che abbia tra 15 e 35 dipendenti ci sia un disabile, due fino a 50 dipendenti e per le aziende più grandi sia riservato a loro il 7 per cento dei posti di lavoro. Ma accade poche volte. È sufficiente che l’azienda versi un contributo al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili per essere esonerata dall’assumerli. Può anche decidere di non rispettarla affatto, la legge, tanto la sanzione è di 51,65 euro al giorno, troppo bassa, al punto da essere conveniente. E spesso si confida su controlli carenti, che permettono di farla franca per anni e anni.
Così il lavoro per le persone disabili oggi in Italia resta un "miraggio", come ha denunciato un sondaggio del sito www.superabile.it, uno dei più cliccati portali italiani sui problemi dell’incontro tra lavoro e disabilità. Il tasso di occupazione delle persone con disabilità in Italia è del 19,3 per cento contro il 55,8 per cento di quelle senza disabilità, secondo l’Istat. Ma il dato risale ad alcuni anni fa, quando la crisi economica non aveva fatto sentire i suoi effetti. Il risultato è migliaia di posti riservati a lavoratori disabili non coperti e centinaia di migliaia di lavoratori disabili iscritti perennemente alle liste di collocamento speciali.
Collocamento sotto accusa.
In sostanza, è fallito l’accompagnamento da parte degli uffici di collocamento e delle reti pubbliche di protezione del lavoro dei disabili nelle aziende e negli enti pubblici. Inoltre poco lavoro è stato affidato alle cooperative sociali che si occupano dell’inserimento occupazionale delle persone disabili.
È il collocamento a essere messo sotto accusa. Secondo l’ultima indagine dell’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che opera in collaborazione con il ministero del Welfare e altri enti pubblici, solo il 13 per cento dei disabili ha trovato un impiego attraverso gli uffici di collocamento. Insomma, lo Stato fa poco per i disabili e non aiuta le imprese, soprattutto nei primi tempi di inserimento, con le figure dei tutor previste dalla legge. Molte associazioni che si occupano di handicap rilevano, come ha fatto l’Anffas, che senza il sostegno delle cooperative sociali o delle agenzie per il lavoro «i disabili faticano a trovare un’occupazione», nonostante una legge molto avanzata. L’ultima relazione al Parlamento sulla sua applicazione, a dieci anni dall’entrata in vigore, spiega che gli avviamenti al lavoro, 31 mila circa nel 2007, sono pochi a fronte di circa 700 mila persone iscritte al collocamento.
Qualcuno ha cercato di farvi fronte. La Regione Lazio ha istituito una specie di "bollino H" per le aziende che sono più attente all’inserimento di persone disabili. Ma non basta.
Perché spesso le assunzioni vengono fatte, ma poi i disabili sono abbandonati, lasciati senza far niente, emarginati, come denuncia l’Ufficio per le politiche della disabilità della Cgil, al quale arrivano circa 15 casi al giorno di discriminazione sul posto di lavoro.
La legge che dieci anni fa aveva trasformato il collocamento obbligatorio in collocamento mirato per i disabili ha bisogno per lo meno di un tagliando. Ma sarà difficile programmarlo in tempo di crisi e di denaro che manca, soprattutto per gli ammortizzatori sociali. La norma è molto avanzata, ma fa fatica a essere applicata.
Lo ha fatto notare anche il rapporto Il lavoratore disabile: una risorsa per la comunità, ricerca affidata alla fondazione Laboratorio per le politiche sociali (Labos) e all’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl) dal ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, presentata la scorsa settimana al Cnel a Roma.
Manca l’inserimento sociale.
Fa notare Silvano Miniati, consigliere del Cnel, che «è sufficiente che venga rintracciato un disabile finto e tutta l’attenzione si sposta sui falsi invalidi, che esistono ma non rappresentano il problema, perché il problema sono i veri invalidi e il ruolo che devono ricoprire nelle aziende».
Il direttore della fondazione Labos Claudio Calvaruso osserva che «l’inserimento lavorativo di un disabile è una questione che riguarda non soltanto le aziende, ma anche l’intera comunità. La legge approvata dieci anni fa è perfetta e validissima per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, ma non lo è altrettanto se allarghiamo il campo all’inserimento sociale».
Alberto Bobbio
***
INCHIESTA. Diversamente abili. Figli di un lavoro minore
La legge di dieci anni fa impone alle aziende di assumere una "quota" di lavoratori disabili, ma questo non avviene. Ecco perché. E come si può rimediare.
È l’ultimo effetto della crisi economica. Ma nessuno ne parla. Dopotutto, loro sono già tra chi sta in fondo alla fila, lavoratori "zavorra" più degli altri, secondo la denuncia recente del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Loro sono i lavoratori disabili, quelli per i quali dieci anni fa una legge dello Stato ha previsto una quota di posti lavoro "protetti" e l’obbligatorietà di assunzione per le aziende.
Ebbene, oggi la crisi e la possibilità per le aziende di accedere alla cassa integrazione, alla mobilità, alle procedure di riduzione dell’orario di lavoro sospendono l’obbligo di assunzione per chi non è abile come gli altri. È l’ultimo premio agli imprenditori e l’ultimo danno ai disabili, che si consuma nel silenzio. Aggrava una situazione già precaria, perché quella legge del 1999 non ha mantenuto le sue promesse, tra controlli poco incisivi e tantissime possibilità pratiche di aggirarla. Invece, per la maggior parte dei disabili il lavoro è vita, argine e trincea contro la depressione, e non semplicemente uno stipendio alla fine del mese.
La legge prevede che in un’azienda che abbia tra 15 e 35 dipendenti ci sia un disabile, due fino a 50 dipendenti e per le aziende più grandi sia riservato a loro il 7 per cento dei posti di lavoro. Ma accade poche volte. È sufficiente che l’azienda versi un contributo al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili per essere esonerata dall’assumerli. Può anche decidere di non rispettarla affatto, la legge, tanto la sanzione è di 51,65 euro al giorno, troppo bassa, al punto da essere conveniente. E spesso si confida su controlli carenti, che permettono di farla franca per anni e anni.
Così il lavoro per le persone disabili oggi in Italia resta un "miraggio", come ha denunciato un sondaggio del sito www.superabile.it, uno dei più cliccati portali italiani sui problemi dell’incontro tra lavoro e disabilità. Il tasso di occupazione delle persone con disabilità in Italia è del 19,3 per cento contro il 55,8 per cento di quelle senza disabilità, secondo l’Istat. Ma il dato risale ad alcuni anni fa, quando la crisi economica non aveva fatto sentire i suoi effetti. Il risultato è migliaia di posti riservati a lavoratori disabili non coperti e centinaia di migliaia di lavoratori disabili iscritti perennemente alle liste di collocamento speciali.
Collocamento sotto accusa.
In sostanza, è fallito l’accompagnamento da parte degli uffici di collocamento e delle reti pubbliche di protezione del lavoro dei disabili nelle aziende e negli enti pubblici. Inoltre poco lavoro è stato affidato alle cooperative sociali che si occupano dell’inserimento occupazionale delle persone disabili.
È il collocamento a essere messo sotto accusa. Secondo l’ultima indagine dell’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che opera in collaborazione con il ministero del Welfare e altri enti pubblici, solo il 13 per cento dei disabili ha trovato un impiego attraverso gli uffici di collocamento. Insomma, lo Stato fa poco per i disabili e non aiuta le imprese, soprattutto nei primi tempi di inserimento, con le figure dei tutor previste dalla legge. Molte associazioni che si occupano di handicap rilevano, come ha fatto l’Anffas, che senza il sostegno delle cooperative sociali o delle agenzie per il lavoro «i disabili faticano a trovare un’occupazione», nonostante una legge molto avanzata. L’ultima relazione al Parlamento sulla sua applicazione, a dieci anni dall’entrata in vigore, spiega che gli avviamenti al lavoro, 31 mila circa nel 2007, sono pochi a fronte di circa 700 mila persone iscritte al collocamento.
Qualcuno ha cercato di farvi fronte. La Regione Lazio ha istituito una specie di "bollino H" per le aziende che sono più attente all’inserimento di persone disabili. Ma non basta.
Perché spesso le assunzioni vengono fatte, ma poi i disabili sono abbandonati, lasciati senza far niente, emarginati, come denuncia l’Ufficio per le politiche della disabilità della Cgil, al quale arrivano circa 15 casi al giorno di discriminazione sul posto di lavoro.
La legge che dieci anni fa aveva trasformato il collocamento obbligatorio in collocamento mirato per i disabili ha bisogno per lo meno di un tagliando. Ma sarà difficile programmarlo in tempo di crisi e di denaro che manca, soprattutto per gli ammortizzatori sociali. La norma è molto avanzata, ma fa fatica a essere applicata.
Lo ha fatto notare anche il rapporto Il lavoratore disabile: una risorsa per la comunità, ricerca affidata alla fondazione Laboratorio per le politiche sociali (Labos) e all’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl) dal ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, presentata la scorsa settimana al Cnel a Roma.
Manca l’inserimento sociale.
Fa notare Silvano Miniati, consigliere del Cnel, che «è sufficiente che venga rintracciato un disabile finto e tutta l’attenzione si sposta sui falsi invalidi, che esistono ma non rappresentano il problema, perché il problema sono i veri invalidi e il ruolo che devono ricoprire nelle aziende».
Il direttore della fondazione Labos Claudio Calvaruso osserva che «l’inserimento lavorativo di un disabile è una questione che riguarda non soltanto le aziende, ma anche l’intera comunità. La legge approvata dieci anni fa è perfetta e validissima per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, ma non lo è altrettanto se allarghiamo il campo all’inserimento sociale».
Alberto Bobbio
***