milena
11-01-2006, 18:44
Guido è cresciuto, è quasi-adulto… i coniugi Carbonetti, in questo nuovo libro, ci parlano degli aspetti adulti del figlio, con molta sincerità e soprattutto con tanta serenità.
La premessa mi aveva un attimo spaventata, ve ne riporto una parte, così forse potrete comprendere meglio le mie parole :
[…] Il trauma per la nascita di un figlio handicappato non si esaurisce all’inizio, ma l’elaborazione del lutto per aver messo al mondo un figlio imperfetto, ritorna ogni volta che subentra un momento difficile da affrontare, l’entrata alla scuola materna, alla scuola speciale, e, soprattutto nell’adolescenza, quando si prospettano le scelte lavorative. I timori relativi all’inserimento del figlio in nuovi ambienti fanno sorgere di nuovo, nei genitori, ansie relative all’accettazione. Le ferite narcisistiche però con gli anni si rimarginano più velocemente, rispetto a quella iniziale, ma in epoca adolescenziale, subentra una particolare fase di elaborazione del lutto e delle frustrazioni. […]
In effetti ogni volta che mia figlia Francesca ha affrontato nuovi momenti nella sua vita, io sono entrata in crisi (all’entrata nel "mondo-fuori" con il suo ingresso al nido, poi durante il passaggio dal nido alla materna, e infine -per ora! -, dalla materna alle elementari…).
Un altro spunto di riflessione interessante, l’ho trovato in questo passaggio:
[…]
Il futuro del proprio figlio handicappato è il pensiero (e il cruccio) costante di tutti i genitori arrivati alla nostra età: l’età di mezzo, nella quale i nostri amici sperimentano il fenomeno del “nido vuoto”. Fanno meno progetti per i figli, perché molti sono stati realizzati e le principali scelte della vita sono state fatte: la scelta occupazionale o lavorativa è ormai conclusa, l’organizzazione della loro vita extra lavorativa ha raggiunto un grado soddisfacente, la vita relazionale pure. Noi, come genitori di un figlio handicappato quasi adulto, potremmo sentirci tranquilli, anche considerando il grosso investimento di tempo e di energie, ma sentiamo anche un sottofondo di tristezza perché ormai “le bocce sono ferme”: nostro figlio non potrà mai dirci un giorno: “guardate, ho trovato un nuovo lavoro” o “aspetto un bambino” o “farò questa determinata nuova cosa!”: cioè non potrà sorprenderci con qualcosa di nuovo e noi da questo punto di vista arrischiamo forse di smettere di fantasticare per lui come ci è capitato di fare finora. Non potremo svolgere il ruolo di nonni dei suoi figli, ma dovremo accontentarci di mantenere le conquiste fatte nel suo micro-mondo. Ma nemmeno lui, in futuro, potrà rovesciare la classica situazione che spetta ai figli nei confronti degli anziani genitori: cioè svolgere dei compiti di cura verso questi ultimi. […]
Ora, non spaventatevi da questi due “intermezzi” che ho voluto inserire, perché come ho scritto all’inizio, il libro è scritto con molta serenità e competenza, ed è un messaggio di speranza quello che si prefiggono di infondere gli autori; questi ci dicono che è soprattutto importante superare le ambivalenze nei confronti di questi figli, le invidie. Ci raccontano in quale modo hanno cercato di rendere autonomo questo figlio, le difficoltà nel lasciarlo andare da solo, affrontano anche gli aspetti dell’affettività e della sessualità di questi ragazzi. Insomma, un’esperienza di vita vissuta, che vi consiglio di leggere.
La premessa mi aveva un attimo spaventata, ve ne riporto una parte, così forse potrete comprendere meglio le mie parole :
[…] Il trauma per la nascita di un figlio handicappato non si esaurisce all’inizio, ma l’elaborazione del lutto per aver messo al mondo un figlio imperfetto, ritorna ogni volta che subentra un momento difficile da affrontare, l’entrata alla scuola materna, alla scuola speciale, e, soprattutto nell’adolescenza, quando si prospettano le scelte lavorative. I timori relativi all’inserimento del figlio in nuovi ambienti fanno sorgere di nuovo, nei genitori, ansie relative all’accettazione. Le ferite narcisistiche però con gli anni si rimarginano più velocemente, rispetto a quella iniziale, ma in epoca adolescenziale, subentra una particolare fase di elaborazione del lutto e delle frustrazioni. […]
In effetti ogni volta che mia figlia Francesca ha affrontato nuovi momenti nella sua vita, io sono entrata in crisi (all’entrata nel "mondo-fuori" con il suo ingresso al nido, poi durante il passaggio dal nido alla materna, e infine -per ora! -, dalla materna alle elementari…).
Un altro spunto di riflessione interessante, l’ho trovato in questo passaggio:
[…]
Il futuro del proprio figlio handicappato è il pensiero (e il cruccio) costante di tutti i genitori arrivati alla nostra età: l’età di mezzo, nella quale i nostri amici sperimentano il fenomeno del “nido vuoto”. Fanno meno progetti per i figli, perché molti sono stati realizzati e le principali scelte della vita sono state fatte: la scelta occupazionale o lavorativa è ormai conclusa, l’organizzazione della loro vita extra lavorativa ha raggiunto un grado soddisfacente, la vita relazionale pure. Noi, come genitori di un figlio handicappato quasi adulto, potremmo sentirci tranquilli, anche considerando il grosso investimento di tempo e di energie, ma sentiamo anche un sottofondo di tristezza perché ormai “le bocce sono ferme”: nostro figlio non potrà mai dirci un giorno: “guardate, ho trovato un nuovo lavoro” o “aspetto un bambino” o “farò questa determinata nuova cosa!”: cioè non potrà sorprenderci con qualcosa di nuovo e noi da questo punto di vista arrischiamo forse di smettere di fantasticare per lui come ci è capitato di fare finora. Non potremo svolgere il ruolo di nonni dei suoi figli, ma dovremo accontentarci di mantenere le conquiste fatte nel suo micro-mondo. Ma nemmeno lui, in futuro, potrà rovesciare la classica situazione che spetta ai figli nei confronti degli anziani genitori: cioè svolgere dei compiti di cura verso questi ultimi. […]
Ora, non spaventatevi da questi due “intermezzi” che ho voluto inserire, perché come ho scritto all’inizio, il libro è scritto con molta serenità e competenza, ed è un messaggio di speranza quello che si prefiggono di infondere gli autori; questi ci dicono che è soprattutto importante superare le ambivalenze nei confronti di questi figli, le invidie. Ci raccontano in quale modo hanno cercato di rendere autonomo questo figlio, le difficoltà nel lasciarlo andare da solo, affrontano anche gli aspetti dell’affettività e della sessualità di questi ragazzi. Insomma, un’esperienza di vita vissuta, che vi consiglio di leggere.