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ritz
13-06-2008, 11:34
Un'amica mi ha segnalato questo articolo
http://oknotizie.alice.it/go.php?us=79215a58b3ae80d6

...ormai lo sanno in molti che faccio collezione di storie a lieto fine ;-)
Rita

Stopray
13-06-2008, 12:10
Ecco e anche oggi giù di lacrimotte...

Bella storia..
Grazie

enrica
13-06-2008, 14:08
sto di nuovo piangendo (al lavoro)....
le foto sono meravigliose...

grazie ritz

aledario
13-06-2008, 14:38
mi incuriosite! per qualche motivo dalla postazione lavorativa questo sito mi è inibito dalla navigazione. mi copiate incollate il contenuto qua nel forum?

giuly
13-06-2008, 14:43
mi incuriosite! per qualche motivo dalla postazione lavorativa questo sito mi è inibito dalla navigazione. mi copiate incollate il contenuto qua nel forum?

Ci provo... vediamo se mi riesce

Non è una favola?
di GloriaDemo


La sindrome di down è spesso un marchio indelebile, ma ci sono anche storie felici. La vicenda a lieto fine di due genitori americani e di un figlio che pensavano di non rivedere mai più.

Li ho incontrati stamattina sull’autobus. Seduti vicini vicini si scambiavano tenerezze come due innamorati. “Padre e figlio?” - chiede una vecchietta. No, sono due amici - risponde una signora - abitano in un appartamento insieme ad altri così, vicino al capolinea del 4. Non sono normali… C’è anche la sorella del figlio di una mia amica. Lui è un chirurgo dalla testa tanta, lei invece… Lei no. “Non è normale”. Sarà eccezionale allora, proprio come questi due cinquantenni bambini che si baciano sulle guance sorridendosi, offrendo a noi che li guardiamo una finestra su un dolce mondo di purezza cui forse vorremmo accedere per un istante. Loro sanno amare davvero - mi dico - e chissà se conoscono l’odio. Sono gli eterni bambini, ritardati mentali, down, sono i “diversamente abili”. Sono tra quelle persone per le quali i limiti dei nostri ragionevoli punti di vista non sanno immaginare né un presente né un futuro.

INDESIDERATI - Sono tra quelli che non vorremmo mettere al mondo, perché non abbiamo fantasia, voglia di scommettere sulla vita, disponibilità a sconvolgere la nostra esistenza, a conoscere il dolore come l’amore profondo, forse. Sembra che, complici i progressi scientifici di diagnosi prenatale, le leggi sull’aborto, la legittima voglia di una vita serena ma anche un senso diffuso di deresponsabilizzazione, il mondo stia cancellando le sue sfaccettature di apparente imperfezione. In Francia i bambini Down sarebbero praticamente scomparsi. In Olanda parrebbe essersi diffusa negli anni passati una pratica clandestina di soppressione dei bambini affetti da spina bifida. Che sia legale o illegale, morale o immorale, oggi si potrebbe far così: lasciare che qualcuno pretenda di intravvedere il destino delle vite che portiamo in grembo e decidere in merito. Se ci piace ok, altrimenti amen, potremmo far cancellare tutto, quasi all’istante.

UNA STORIA A LIETO FINE - In passato queste cose andavano diversamente. E’ leggenda, da qualche parte, che si gettassero i bimbi malformati da una torre; non lo è che venissero trucidati da regimi poco simpatici. Capitava anche che l’amore fosse più forte di ogni ostacolo o pregiudizio, e capita ancora nonostante tutto. Certo è che il destino di questi bimbi ha spesso seguito la storia del costume sociale e delle legislazioni, configurandosi in modo differente a seconda del posto in cui essi nascevano. Negli Stati Uniti, tra gli anni 30 e gli anni 60, capitava che le famiglie, causa penuria e mancanza di sussidi comunali, affidassero i propri figli “diversi” a degli istituti statali, per poi non rivederli spesso mai più. Ad un certo punto ne erano convinti anche i signori West, dell’Oregon. Non avrebbero mai più abbracciato il figlio Ritchy, uno tra le decine di migliaia di bambini scomparsi in quegli anni in America. La storia della famiglia West però è finita bene. Mettetevi comodi che ve la racconto.

LA SEPARAZIONE - Era il 1954. Betty West metteva al mondo il quinto dei suoi otto figli. La gravidanza della donna era andata bene ma, come nacque, Ritchy ebbe bisogno di una maschera d’ossigeno. Per i dottori sembrava comunque essersi tutto risolto e lo fecero riportare a casa garantendo fosse sano. Il piccolo però non piangeva, cresceva poco, non riusciva a camminare carponi e sembrava tutto chiuso nel suo piccolo mondo, insensibile agli stimoli esterni, agli sguardi ed ai giochi dei fratellini. Il medico di famiglia continuava a dire alla signora West che suo figlio stava bene e, ad un certo punto, le chiese persino di non disturbarlo più. Ma il piccolo non stava bene. Betty lo fece visitare da uno specialista. La diagnosi le piombò addosso dura e feroce: Ritchy era affetto da un ritardo mentale. Non sarebbe mai riuscito a parlare bene, la sua intelligenza sarebbe rimasta sempre così, quella di un bambino di tre anni ed avrebbe necessitato di 24 ore consecutive di assistenza. Betty e Tom, il padre, avevano già altri 4 figli. Si lasciarono convincere dagli esperti ed affidarono il bambino ad un istituto statale giacché non c’erano sussidi per poterlo curare nella loro città. Un giorno lo vestirono di tutto punto, con i suoi vestitini migliori, un blazer bianco ed un paio di shorts neri ed attesero che venissero a prenderlo per portarlo a Fairview, dove avrebbe ricevuto assistenza mediche adeguata.

UN TRISTE ADDIO - Per fargli visita i West necessitavano di un appuntamento. Andarono a trovarlo almeno una volta l’estate insieme a tutta la famiglia. Richard non sembrava riconoscerli ma stava bene in loro compagnia. Così fu per otto anni, fino al giorno in cui, mentre passeggiavano, il piccolo lasciò le mani della madre per correre felice da una anziana signora dell’Istituto, mostrandole più affetto di quello che dimostrava alla sua famiglia. Fu un duro colpo per Betty. Insieme al marito scappò via tra le lacrime. Mai più i West sarebbero tornati a trovarlo. Il piccolo mai avrebbe dovuto sapere di loro. Lì stava bene, era amato. Questo pensavano. Passarono vent’anni durante i quali la famiglia intera continuava a parlare di lui, ad inviargli vestiti, a sfogliarne l’album delle foto. Con una telefonata all’ improvviso, i West furono informati del suo trasferimento in un’altra località, molto, molto lontana, della quale non poteva essere svelato il nome. A quel modo, ai due genitori ed ai fratelli del bimbo sembrava definitivamente negata la possibilità di rincontrarlo.

LA FAMIGLIA RIUNITA - Così accadeva per tantissime famiglie americane. Per molte non si poneva nemmeno il problema in verità: non avrebbero mai desiderato ristabilire un rapporto con il figlio diverso. Quelle che invece avrebbero passato tutta l’esistenza a cercarlo nel ricordo raramente l’avrebbero poi rintracciato. Quasi del tutto inutili gli archivi ed i registri che con il passare degli anni e con l’aumentare delle richieste sarebbero stati costruiti per agevolare la ricerca. La storia dei West, però, è andata diversamente. E’ una bella favola dal lieto fine, così come quella di un signore che raccontava in una TV di Portland di aver ritrovato la sorella, che, come il protagonista della nostra storia, aveva vissuto per anni nel centro di Fairview. Fu quella la molla per il fratello Jeff, quarant’anni dopo, per rimettersi alla ricerca di Ritchy. Un giro di telefonate con dati anagrafici e storia alla mano, qualche mese d’attesa ed ecco che con estrema gioia degli anziani genitori, tutta la famiglia nel giugno 2005 si è riunita per un giorno. Il piccolo Ritchy, che tanto piccolo più non è e che infatti preferisce farsi chiamare Richard, vive con due coniugi che si prendono cura di lui, che lo amano e che nutrivano qualche timore che i genitori glielo portassero via.

UNA VITA NORMALE - Richard ora ha una ragazza con cui ama mangiare la torta di mele nei fast food, lavora, si prende cura di sé, tiene il prato sempre ordinato, guida da quando aveva 16 anni, adora le Volkswagen, gioca a calcio, ha degli amici: una persona a posto direi. Anche i due signori che incontrato stamane sull’autobus lo sono. Sono diversamente abili, forse, ma abili, sicuramente. Allo stesso modo sono abili i down. Qui a Parma potrebbe capitarvi di assistere ad un loro spettacolo teatrale curato da Emilia Caronna, che li sostiene anche nel loro percorso di studi universitari. Potrebbe soprattutto capitarvi di restare catturati dalla loro grande capacità comunicativa, come potreste d’altronde restare impressionati dalla mia capacità di rompere le cose. Io non sono down, anche se ho un poco gli occhi a mandorla come loro. Sono diversa da voi, così come lo sono da ciascuno di loro in modo diverso. Io sono diversamente abile rispetto a chi di voi e chi di loro sa tenere ordinata una stanza eppure sono considerata normale. Anch’io ero tutta blu, dicono, quando sono nata ma nessuna diagnosi prenatale mi avrebbe data per spacciata. Ecco, per concludere con un lieto fine anche questo post, fatevi gli occhi. Queste sono foto speciali, raccolte per la festa delle mamme su prolifeblog dalle mamme di bambini affetti dalla trisomia 21. Sono mamme e bambini felici. Non vi pare?

aledario
13-06-2008, 14:51
Grazie Giuly! :-)

gigliorosa
13-06-2008, 15:35
Grazie Rita!

beatrix
13-06-2008, 16:08
Bell'articolo.....bellissime le foto!!!grazie

francesca
13-06-2008, 22:01
grazie Rita! :D

riodini
14-06-2008, 15:24
Graizie Rita!!!!:smile: :smile: :smile:
Anch'io sono sempre alla ricerca di storie alieto fine!!! Mi danno forza e coraggio!!!!

p.s. Ma le foto sono solo quelle due o ce ne sono altre?

uerem
14-06-2008, 19:31
Bellissima la storia ed eloquenti le foto!
Complimenti a Rita e alla sua ricerca.

giuly
15-06-2008, 01:08
p.s. Ma le foto sono solo quelle due o ce ne sono altre?

Cliccando su "foto speciali" in fondo all'articolo si accede ad un album contenente foto di mamme con i loro bimbi

francy
31-07-2008, 10:59
Bella storia, e bellissime le foto!!

Dadi
31-07-2008, 16:18
Grazie della segnalazione!

Belle le foto, ma belle soprattutto le testimonianze. :sun_smiley: