francesco
17-11-2007, 13:20
La Sindrome di Down e la ricerca
Verso cura prenatale per embrioni a rischio
ANDREA GAGLIARDUCCI
L'Istituto Jerome Lejeune, con sede a Parigi, è l'unico al mondo che fa ricerca espressamente sulla sindrome di Down. Il suo maggior finanziatore è una fondazione privata, che funziona anche grazie alle donazionioni, ed è la Fondazione Jerome Lejeune, che nel 2003 ha distribuito più di 1 milione di euro per la ricerca epidemiologica. "E' interessante notare - nota il presidente dell'Istituto Sylvie de Kermadec - che il primo anno, sette anni fa, l'appello di offerte internazionale lanciato dalla fondazione ha generato tre risposte. Noi facciamo ora due appelli di offerte all'anno, e per l'ultimo abbiamo ricevuto 82 domande, prova che l'attribuzione di risorse ha permesso di orientare la ricerca verso un tipo di patologia finora trascurato»"
È quasi impossibile sapere quanti soldi della ricerca pubblica vengono destinati in Italia alla ricerca sulla trisomia 21. "Qualcosa si fa - nota il dottor Paolo Arosio, pediatra e padre di una bambina con Sindrome di Down - ma si spende molto di più per la diagnosi prenatale che non per ricercare e approfondire i fattori che possono ridurre il deficit intellettivo di queste persone". In Israele, ad esempio, le persone con Sindrome di Down sono perfettamente integrate, non hanno più un ruolo di "diversi" nella società. "Lì - spiega il dottor Arosio - è nato il metodo Feurstein. Il medico che lo ha inventato lo ideò per i bambini che avevano avuto il trauma dei campi di concentramento: sviluppa le loro capacità artistica, punta sull'integrazione scolastica, l'integrazione nel mondo del lavoro. L'handicap può aiutare chi l'handicap non ce l'ha. Credo che mia figlia Agnese, che ora fa la terza media, ha instaurato relazioni di semplicità e generosità con i suoi compagni, ricevendo molto da loro e dando molto. La presenza di una bambina Down in classe insegna che la vita non sempre scorre come vuoi".
Fare una stima di quanto viene assegnato in Italia per la ricerca sulla Sindrome di Down è difficilissimo. A quanto si dice, si fa poca ricerca, ma, spiega il professor Stefano Vicari, precario di Neuropsichiatria all'Ospedale Pediatrico del Bambin Gesù, "questo non è così certo. Per quanto riguarda il Bambin Gesù, noi pubblichiamo su riviste internazionali da molti anni". Né è vero, secondo il professor Vicari, che "c'è un orientamento così forte verso la diagnosi prenatale, né si deve puntare tutto sulla ricerca che non si fa".
Una ricerca che si fa è invece quella che l'Università di Siena ha fatto con l'aiuto della fondazione Euraibi. L'ipotesi è quella di poter agire già prima della nascita. "E' una idea semplice in realtà - spiega Carlo Valerio Bellieni, neonatologo di fama mondiale e membro del pool di ricerca - siamo andati a guardare nel liquido amniotico di bambini con Sindrome di Down e bambini senza sindrome. E abbiamo notato che gli indici di presenza dello stress ossidativo sono maggiori nei bambini con la Sindrome di Down. L'ipotesi avanzata dal direttore della ricerca, professor Giuseppe Buonocore, è che somministrando degli anti-ossidanti (come la melatonina) prima della nascita si possano curare, o perlomeno ridurre le conseguenze degli effetti della malattia". Lo stress ossidativo è un fenomeno che interessa lo sviluppo del sistema nervoso. Ad esempio, è la prima cosa che si verifica quando un bambino va in asfissia. Con una eventuale cura prenatale, si cercano di bloccarne gli effetti. Però una cosa è bloccarne gli effetti a cinque anni, una cosa a cinque mesi e una cosa ancora diversa farlo prima della nascita, quando si ha a che fare con un organismo in via di sviluppo, e dunque potrebbe essere possibile persino eliminarne alcuni effetti".
La ricerca è già in fase sperimentale? "Sperimentale - risponde il professor Bellieni - è la valutazione. Ora si dovranno fare delle sperimentazioni su dei modelli animali. E il problema è sempre il solito: mancano i fondi. Quello che è stato fatto fino ad ora è stato fatto con fondi privati". Difficile trovare fondi per questo tipo di ricerca perché, denuncia il professor Bellieni, "non è un problema di tipo discriminatorio: non c'è una grossa attenzione su questi temi, dal punto di vista umano nessuno pensa a come curarli".
Verso cura prenatale per embrioni a rischio
ANDREA GAGLIARDUCCI
L'Istituto Jerome Lejeune, con sede a Parigi, è l'unico al mondo che fa ricerca espressamente sulla sindrome di Down. Il suo maggior finanziatore è una fondazione privata, che funziona anche grazie alle donazionioni, ed è la Fondazione Jerome Lejeune, che nel 2003 ha distribuito più di 1 milione di euro per la ricerca epidemiologica. "E' interessante notare - nota il presidente dell'Istituto Sylvie de Kermadec - che il primo anno, sette anni fa, l'appello di offerte internazionale lanciato dalla fondazione ha generato tre risposte. Noi facciamo ora due appelli di offerte all'anno, e per l'ultimo abbiamo ricevuto 82 domande, prova che l'attribuzione di risorse ha permesso di orientare la ricerca verso un tipo di patologia finora trascurato»"
È quasi impossibile sapere quanti soldi della ricerca pubblica vengono destinati in Italia alla ricerca sulla trisomia 21. "Qualcosa si fa - nota il dottor Paolo Arosio, pediatra e padre di una bambina con Sindrome di Down - ma si spende molto di più per la diagnosi prenatale che non per ricercare e approfondire i fattori che possono ridurre il deficit intellettivo di queste persone". In Israele, ad esempio, le persone con Sindrome di Down sono perfettamente integrate, non hanno più un ruolo di "diversi" nella società. "Lì - spiega il dottor Arosio - è nato il metodo Feurstein. Il medico che lo ha inventato lo ideò per i bambini che avevano avuto il trauma dei campi di concentramento: sviluppa le loro capacità artistica, punta sull'integrazione scolastica, l'integrazione nel mondo del lavoro. L'handicap può aiutare chi l'handicap non ce l'ha. Credo che mia figlia Agnese, che ora fa la terza media, ha instaurato relazioni di semplicità e generosità con i suoi compagni, ricevendo molto da loro e dando molto. La presenza di una bambina Down in classe insegna che la vita non sempre scorre come vuoi".
Fare una stima di quanto viene assegnato in Italia per la ricerca sulla Sindrome di Down è difficilissimo. A quanto si dice, si fa poca ricerca, ma, spiega il professor Stefano Vicari, precario di Neuropsichiatria all'Ospedale Pediatrico del Bambin Gesù, "questo non è così certo. Per quanto riguarda il Bambin Gesù, noi pubblichiamo su riviste internazionali da molti anni". Né è vero, secondo il professor Vicari, che "c'è un orientamento così forte verso la diagnosi prenatale, né si deve puntare tutto sulla ricerca che non si fa".
Una ricerca che si fa è invece quella che l'Università di Siena ha fatto con l'aiuto della fondazione Euraibi. L'ipotesi è quella di poter agire già prima della nascita. "E' una idea semplice in realtà - spiega Carlo Valerio Bellieni, neonatologo di fama mondiale e membro del pool di ricerca - siamo andati a guardare nel liquido amniotico di bambini con Sindrome di Down e bambini senza sindrome. E abbiamo notato che gli indici di presenza dello stress ossidativo sono maggiori nei bambini con la Sindrome di Down. L'ipotesi avanzata dal direttore della ricerca, professor Giuseppe Buonocore, è che somministrando degli anti-ossidanti (come la melatonina) prima della nascita si possano curare, o perlomeno ridurre le conseguenze degli effetti della malattia". Lo stress ossidativo è un fenomeno che interessa lo sviluppo del sistema nervoso. Ad esempio, è la prima cosa che si verifica quando un bambino va in asfissia. Con una eventuale cura prenatale, si cercano di bloccarne gli effetti. Però una cosa è bloccarne gli effetti a cinque anni, una cosa a cinque mesi e una cosa ancora diversa farlo prima della nascita, quando si ha a che fare con un organismo in via di sviluppo, e dunque potrebbe essere possibile persino eliminarne alcuni effetti".
La ricerca è già in fase sperimentale? "Sperimentale - risponde il professor Bellieni - è la valutazione. Ora si dovranno fare delle sperimentazioni su dei modelli animali. E il problema è sempre il solito: mancano i fondi. Quello che è stato fatto fino ad ora è stato fatto con fondi privati". Difficile trovare fondi per questo tipo di ricerca perché, denuncia il professor Bellieni, "non è un problema di tipo discriminatorio: non c'è una grossa attenzione su questi temi, dal punto di vista umano nessuno pensa a come curarli".