milena
11-01-2006, 18:27
“Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda dipende da voi, da quello che saprete dare. Sono nati due volte e il percorso sarà più tormentato. Ma alla fine anche per voi sarà una rinascita. Questa almeno è la mia esperienza. Non posso dirvi altro.”
Credo che queste poche righe riassumano bene il senso di questo meraviglioso libro. Giuseppe Pontiggia, oltre ad essere il papà di un ragazzo handicappato, era anche un ottimo scrittore, quindi per gli scettici, questa dovrebbe essere una garanzia. Con questo libro poi ha vinto anche uno dei più importanti premi letterari italiani, il Supercampiello.
"Altre volte ho provato a chiudere un attimo gli occhi e a riaprirli. Chi è quel ragazzo che cammina oscillando verso il muro? Lo vedo per la prima volta, è un disabile. Penso a quella che sarebbe stata la mia vita senza di lui. No, non ci riesco. Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra. Una volta, mentre lo guardavo come se lui fosse un altro e io un altro, mi ha salutato. Sorrideva e si è appoggiato contro il muro. E' stato come se ci fossimo incontrati per sempre, per un attimo."
Con queste parole si conclude il libro.
E' un romanzo nel quale Pontiggia ripercorre la sua vita, dalla nascita del figlio ad oggi, e riesce a farlo col disincanto e la serenità che il tempo è riuscito a regalargli. Riesce ad affrontare le tappe che ogni genitore "diverso" fa nel corso della vita col dovuto distacco, senza farsi prendere dalle angosce per il futuro (ormai il figlio ha più di 30 anni) e senza quel dolore che noi invece abbiamo ancora dentro. Per questo posso dire che mi ci sono ritrovata molto nel suo percorso, anche se l'handicap del figlio è un handicap fisico (tetraparesi spastica distonica) e non intellettivo. C'è poi, un passaggio molto bello, sulle differenti reazioni di noi genitori nei confronti di altri genitori con figli come i nostri:
"Suo figlio è un caso lieve, disturbi minimi della deambulazione, destinati probabilmente a scomparire con la fisioterapia. Ci guarda di solito con una curiosità vigile e distaccata, come una turista di prima classe in visita al ponte della terza. Tiene in ogni circostanza a sottolineare la gravità minore della sua situazione. di fronte ai casi più dolorosi sgrana gli occhi con una solidarietà teatrale. Si intuisce che le offriranno paragoni ancora
più rassicuranti. Non è l'unico genitore a reagire così, solo il più scoperto e forse il più stupido. Ma nessuno di noi ne è immune, siamo sempre lieti, confortando chi sta peggio di noi, di confortare noi stessi. La graduatoria degli handicap diventa oggetto di una competizione silenziosa. Se gareggiamo così tra di noi, non dobbiamo stupirci delle reazioni degli altri."
Penso che questo sia uno dei motivi che spingono un genitore di disabile fisico a dire che almeno suo figlio è intelligente: è un modo per confortarsi. Credo che l'approccio, per questo tipo di genitori, sia diverso perchè, in molti casi, possono attribuire la diversità del loro figlio all'incuria di qualche medico anche se, per questo, non ci si rassegnerà mai. Voglio dire, non è come per noi genitori down, che abbiamo dovuto fare i conti con quel senso di fallimento per non aver saputo generare un figlio perfetto, non sentono dentro di loro muoversi colpe oscure, non sentono sulle spalle il carico della responsabilità per quanto è accaduto. Ma se tutto ciò può essere un "vantaggio" o meglio un dolore in meno, dall'altro non lo è. Voglio dire, noi almeno sappiamo cos'è la sindrome di down e cosa può comportare, anche se ci illudiamo che nostro figlio è sicuramente diverso ed all'inizio tendiamo a negarne quello che rappresenta nel nostro immaginario. Invece, quando in tuo figlio è presente una cerebrolesione, non sai qual è il mostro che dovrai affrontare e combattere, non hai esempi su cui poter fare riferimenti concreti, almeno fino a quando non saprai quali sono le "aree" lese... inoltre mentre un medico che affronta un "genitore down" crede di saper di cosa parla, in questo caso dà solo risposte vaghe.
Vabbè, non mi dilungo oltre, spero di avervi incuriosito. Leggete questo libro, ne vale la pena.
Credo che queste poche righe riassumano bene il senso di questo meraviglioso libro. Giuseppe Pontiggia, oltre ad essere il papà di un ragazzo handicappato, era anche un ottimo scrittore, quindi per gli scettici, questa dovrebbe essere una garanzia. Con questo libro poi ha vinto anche uno dei più importanti premi letterari italiani, il Supercampiello.
"Altre volte ho provato a chiudere un attimo gli occhi e a riaprirli. Chi è quel ragazzo che cammina oscillando verso il muro? Lo vedo per la prima volta, è un disabile. Penso a quella che sarebbe stata la mia vita senza di lui. No, non ci riesco. Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra. Una volta, mentre lo guardavo come se lui fosse un altro e io un altro, mi ha salutato. Sorrideva e si è appoggiato contro il muro. E' stato come se ci fossimo incontrati per sempre, per un attimo."
Con queste parole si conclude il libro.
E' un romanzo nel quale Pontiggia ripercorre la sua vita, dalla nascita del figlio ad oggi, e riesce a farlo col disincanto e la serenità che il tempo è riuscito a regalargli. Riesce ad affrontare le tappe che ogni genitore "diverso" fa nel corso della vita col dovuto distacco, senza farsi prendere dalle angosce per il futuro (ormai il figlio ha più di 30 anni) e senza quel dolore che noi invece abbiamo ancora dentro. Per questo posso dire che mi ci sono ritrovata molto nel suo percorso, anche se l'handicap del figlio è un handicap fisico (tetraparesi spastica distonica) e non intellettivo. C'è poi, un passaggio molto bello, sulle differenti reazioni di noi genitori nei confronti di altri genitori con figli come i nostri:
"Suo figlio è un caso lieve, disturbi minimi della deambulazione, destinati probabilmente a scomparire con la fisioterapia. Ci guarda di solito con una curiosità vigile e distaccata, come una turista di prima classe in visita al ponte della terza. Tiene in ogni circostanza a sottolineare la gravità minore della sua situazione. di fronte ai casi più dolorosi sgrana gli occhi con una solidarietà teatrale. Si intuisce che le offriranno paragoni ancora
più rassicuranti. Non è l'unico genitore a reagire così, solo il più scoperto e forse il più stupido. Ma nessuno di noi ne è immune, siamo sempre lieti, confortando chi sta peggio di noi, di confortare noi stessi. La graduatoria degli handicap diventa oggetto di una competizione silenziosa. Se gareggiamo così tra di noi, non dobbiamo stupirci delle reazioni degli altri."
Penso che questo sia uno dei motivi che spingono un genitore di disabile fisico a dire che almeno suo figlio è intelligente: è un modo per confortarsi. Credo che l'approccio, per questo tipo di genitori, sia diverso perchè, in molti casi, possono attribuire la diversità del loro figlio all'incuria di qualche medico anche se, per questo, non ci si rassegnerà mai. Voglio dire, non è come per noi genitori down, che abbiamo dovuto fare i conti con quel senso di fallimento per non aver saputo generare un figlio perfetto, non sentono dentro di loro muoversi colpe oscure, non sentono sulle spalle il carico della responsabilità per quanto è accaduto. Ma se tutto ciò può essere un "vantaggio" o meglio un dolore in meno, dall'altro non lo è. Voglio dire, noi almeno sappiamo cos'è la sindrome di down e cosa può comportare, anche se ci illudiamo che nostro figlio è sicuramente diverso ed all'inizio tendiamo a negarne quello che rappresenta nel nostro immaginario. Invece, quando in tuo figlio è presente una cerebrolesione, non sai qual è il mostro che dovrai affrontare e combattere, non hai esempi su cui poter fare riferimenti concreti, almeno fino a quando non saprai quali sono le "aree" lese... inoltre mentre un medico che affronta un "genitore down" crede di saper di cosa parla, in questo caso dà solo risposte vaghe.
Vabbè, non mi dilungo oltre, spero di avervi incuriosito. Leggete questo libro, ne vale la pena.